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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2011 alle ore 06:39.

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Dopo oltre dieci mesi nelle mani dei pirati somali, ieri è stata liberata la petroliera battente bandiera italiana, la Savina Caylyn, con il suo equipaggio, 22 uomini, 17 indiani e cinque italiani. Si conclude così la vicenda della petroliera sequestrata l'8 febbraio scorso vicino all'isola yemenita di Socotra e trasportata in una cittadina sulla costa somala. Tutti i membri dell'equipaggio starebbero bene.
Meno di un mese fa un'altra nave italiana, la Rosalia D'Amato, era stata liberata insieme al suo equipaggio, 16 filippini e sei italiani. Il presidente del Consiglio Mario Monti ha espresso ieri la sua più viva soddisfazione per il rilascio dell'equipaggio e della nave italiana.
Ma dopo la liberazione è arrivato il tempo delle polemiche sul presunto riscatto, su cui peraltro non è arrivata alcuna conferma ufficiale. Secondo il sito "Somali report" per il rilascio della Savina Caylyn sarebbero stati pagati 11,5 milioni di dollari; 8,5 milioni di dollari, contenuti in un pacco, sarebbero stati lanciati da un elicottero ieri all'alba, mentre il pacco con il resto del riscatto, sarebbe stato consegnato ai sequestratori alle 12 e 30 locali. «Il Governo italiano non ha mai contemplato la possibilità di una trattativa diretta con i pirati e tanto meno il pagamento di riscatti per la liberazione degli ostaggi», ha chiarito il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, in una nota.
Il fenomeno della pirateria resta tuttavia un problema crescente, che sta mettendo in serie difficoltà il traffico marittimo mondiale; nei primi sei mesi del 2011 sono stati infatti 266 gli assalti dei pirati, 70 in più rispetto al primo semestre del 2010, secondo i dati dell'International Maritime Bureau (Imb). I pirati somali, che si spingono sempre più al largo - anche vicino alle coste indiane - , sono responsabili di oltre il 60% di tutti gli attacchi.
La rotta tra il canale di Suez e il Golfo di Aden è una delle principali arterie del commercio globale, percorsa ogni anno da 30mila navi. Un irrinunciabile canale di approvvigionamento energetico per l'Europa. Da due anni le città costiere della Somalia, lo "Stato fallito", in preda al caos dal 1991 , si sono trasformate in una colossale fabbrica di sequestri. Secondo l'Imb nelle loro mani ci sarebbero ancora 10 navi e ben 172 ostaggi. Dal 1° gennaio al 16 dicembre 2011 i pirati somali hanno sequestrato 450 marinai; 15 sono rimasti uccisi, gli altri liberati, molti dietro il pagamento di un riscatto. Dati che fanno riflettere su quanto sia remunerativo il business.
Quella della pirateria somala è un'industria che non conosce crisi: nel 2006 (dati Imb) gli ostaggi furono 188 in tutto il mondo. Nel 2010 sono balzati a 1.181, la maggior parte in mano ai pirati somali. Allarmata, la missione navale antipirateria dell'Unione europea, Atlanta, ha definito «una tragedia umanitaria» la situazione delle persone ancora nelle mani dei pirati somali. «Ci sono 199 uomini e una donna attualmente ostaggio delle bande di pirati in Somalia», si legge in una nota. Da quando è iniziata la missione Ue, nel dicembre 2008, sono stati complessivamente presi in ostaggio 2.317 marinai, sequestrati in media per 5 mesi, ma in alcuni casi anche per 19.
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