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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2011 alle ore 15:33.

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Il più grande spettacolo dopo il lockout. Titolo quasi scontato, per la stagione Nba al via a Natale dopo la serrata dei proprietari, il braccio di ferro col sindacato giocatori sul nuovo accordo collettivo, i milioni di dollari andati in fumo, l'accordo trovato in extremiis per salvare almeno il ricco menù televisivo di fine anno e far ripartire il carrozzone dei canestri. Poche ore ancora è tutto questo sarà accatastato alla rinfusa nel primo sgabuzzino dietro al palcoscenico. Si accendano le luci: l'America del basket torna sul parquet.

Re David – Comunque vada, l'annata che sta per cominciare ha già il suo vincitore. È, ovviamente, il commissioner David Stern. Prima ha ridotto a più miti consigli i giocatori sul piede di guerra, spingendoli di fatto a siglare un nuovo accordo collettivo che ne riduce gli introiti (pur sempre milionari), dopo averli fatti passare agli occhi dell'opinione pubblica mondiale come «i soliti miliardari che sacrificano la passione per il gioco sull'altare del dio denaro». Poi Mr. Stern, da proprietario in pectore di New Orleans (ancora a caccia di un nuovo owner, e quindi gestita direttamente della Lega) , ha fatto saltare la trade del secolo, spingendo Chris Paul dagli Hornets non verso i Lakers, ma sull'altra sponda di L.A., quella dei derelitti Clippers. Messaggio chiaro ai naviganti: per far vivere il business ci vuole spettacolo, e per garantirlo non bastano schiacciate e rimbalzi, serve soprattutto equilibrio e incertezza del risultato. Ben vengano quindi, nell'ottica di Stern, i "nuovi" Clippers, e altri team capaci di allargare prospettive e mercato interno dell'Nba.

Nuove variabili – Stagione regolare più corta (da 82 a 66 partite per ogni squadra), calendario più concentrato (capiterà di giocare anche tre gare consecutive!), quindi peso specifico di ogni partita decisamente maggiore: il lockout ha cambiato anche i consueti assi di riferimento del campionato. Ancor meno tempo per preparare l'annata, più importanza al singolo risultato: a vederla così, almeno in avvio quei giocatori che hanno scelto di aspettare la fine della vertenza giocando in Europa, potrebbero avere un buon vantaggio sul resto della compagnia. Ma, a dirla tutta, ce lo vedete Dirk Nowitzki che non si allena per mesi in attesa di una firma su un foglio di carta? Noi, sinceramente, no.

I campioni – D'obbligo partire da loro, da quei Mavericks che a giugno conquistarono l'anello (che riceveranno domenica proprio prima della sfida -rivincita con gli Heat) spezzando il sogno di vittoria di LeBron James, Wade e Bosh. Ebbene, Dallas è profondamente cambiata. Ha aggiunto un big come Lamar Odom arrivato dai Lakers, poi un altro All Star (invero mai convincente fino in fondo) come Vince Carter, ma ha perso due pedine chiave nella corsa al titolo 2011: Tyson Chandler sottocanestro (ai Knicks) e J.J. Barea (a Minnesota) nel pacchetto guardie. Più che il roster, comunque, potrà la fame di vittoria. Quella di WunderDirk è inesauribile; ma gli altri?

Gli sfidanti – Anche qui scelta obbligata: proprio gli Heat delle (presunte) meraviglie, dei tre tenori che hanno steccato – soprattutto il Prescelto LeBron – proprio sul traguardo. Quest'anno la musica potrebbe essere diversa, però: dopo una stagione di lavoro insieme, James, Wade e Bosh si sono presentati in piena forma al training camp; in più è arrivato Shane Battier, che sarà prezioso in chiave difensiva. Ci riproviamo: i veri favoriti sono loro.

Gli outsider – Strano ma vero, in questa categoria rientrano anche Lakers e Celtics, che di stelle ne hanno eccome (bastino Kobe Bryant e Paul Pierce, per intendersi), ma che pure hanno roster logorati da tante battaglie. Meglio allora puntare sui Bulls di Derrick Rose (fresco di rinnovo contrattuale) o gli Oklahoma Thunder di Westbrook e del "divino" Kevin Durant. Poi occhio a chi ha cambiato di più : proprio i Clippers di Paul e Blake Griffin (ma l'uomo squadra potrebbe essere il veterano Billups),e i New York Knicks di Mike D'Antoni, che affiancano la solidità di Chandler agli svolazzi di Anthony e Stoudamire.

I grandi assenti – Annata accorciata, che sarà la prima senza alcuni grandi protagonisti: il "guru" Phil Jackson, l'ispiratore dei Bulls di Michael Jordan e dei Lakers di Bryant (e Shaq), che ha lasciato la panchina dei gialloviola per rispecchiarsi negli 11 anelli da allenatore che ha in bacheca; lo stesso Shaquille O'Neal, il centro che dopo lustri da protagonista e titoli (Orlando, Lakers, Miami) e annate declinanti (Phoenix, Cleveland, Boston) ha dato l'addio. Non ha invece potuto scegliere Brandon Roy, fenomenale guardia di Portland (fu matricola dell'anno nel 2006, davanti a Bargnani) costretto al ritiro dai guai alle ginocchia. E a un passo dal saltare l'ennesima stagione per infortunio anche il centro dei Blazers, Greg Oden, anche lui per cronici problemi alle ginocchia.

Little Italy – E l'Italia? Vara la formula del "3+1". stavolta riflettori puntati sull'esordiente Ettore Messina, che dopo aver vinto tutto in Europa si siederà sulla panchina dei Lakers come assistant-coach di Mike Brown, che ha per lui profonda stima e sincera ammirazione cestistica. In campo toccherà invece al "Nuggets" Danilo Gallinari, atteso alla consacrazione a Denver, dove è sbarcato da New York nella scorsa primavera; all'"Hornets" Belinelli, che dovrà dimostrare di saper fare a meno degli assist di Paul in un team comunque futuribile; e poi al "Raptors" Andrea Bargnani, che sarà l'uomo faro della franchigia canadese, a caccia della post-season dopo la pessima annata scorsa.

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