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Questo articolo è stato pubblicato il 27 dicembre 2011 alle ore 20:49.

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Sanzioni al petrolio iraniano? Teheran ha pronta la risposta radicale alla minaccia dell'Occidente preoccupato dal suo piano nucleare dai contorni sempre più bellicosi. Il regime degli ayotallah, per reazione, ora minaccia di chiudere lo stretto di Hormuz, e bloccare quindi il traffico mondiale delle petroliere, in risposta alle sanzioni varate dalla comunità internazionale.

«Ogni impedimento alla navigazione nello stretto di Hormuz non sarà tollerato», ha detto un portavoce della V Flotta americana commentando l'intenzione da parte di Teheran di chiudere il transito del petrolio nel Golfo, come rappresaglia contro l'inasprimento delle sanzioni internazionali.

«Se l'Occidente impone sanzioni all'esportazione di petrolio iraniano, allora neanche una goccia di petrolio passerà più dallo stretto di Hormuz», ha infatti affermato il vicepresidente Mohammad Reza Rahimi, citato dall'agenzia Irna.

Minacce credibili o la solita propaganda dei Guardiani della Rivoluzione? Giovedì scorso il regime di Teheran aveva annunciato l'inizio, a partire da sabato 24, di manovre navali della Marina nel 54 chilometri del braccio di mare che divide l'Oman dall'Iran e attraverso cui passa il 40% del petrolio estratto nel Golfo Persico. Tradotto, vuol dire che nello Stretto di Hormuz passano ogni giorno 17 milioni di barili di greggio, un sesto delle necessità mondiali.

Il prezzo del petroli a New York con scadenza a febbraio è schizzato a 101,26 con un incremento dell'1,6%. In novembre l'Iran ha pompato 3,56 milioni di barili al giorno, seconda solo all'Arabia saudita tra i membri dell'Opec. Bloccare lo stretto di Hormuz significherebbe però scatenare una guerra sicura con la settima flotta navale americana di stanza in quelle acque e con i paesi arabi confinanti.

L'Iran ha bisogno dei petrodollari e del carburante raffinato molto di più di quanto l'Occidente abbia bisogno del suo petrolio. Quindi Teheran farà molta attenzione a passare dalle minacce alla vie di fatto. In ogni caso il tentativo è quello di tentare di ridurre la pressione internazionale sulle sanzioni economiche che cominciano a mordere il tenore di vita della gente comune e a creare problemi al governo di Mahmoud Ahmadineajd e alla guida suprema Ali Khamenei.

INFLAZIONE IN CRESCITA. L'inflazione è in crescita esponenziale in Iran, a causa delle sanzioni occidentali e della riforma varata un anno fa dal presidente Mahmoud Ahmadinejad. Chi ha dei capitali in eccedenza normalmente li investiva nel settore delle costruzioni (ora fermo) o in titoli di stato iraniani (che ora rendono meno del tasso reale di inflazione). Ai risparmitori iraniani in questo momento duro non resta che scomettere sul mercato dei cambi e acquistare dollari contro rial a mani basse. Così la moneta iraniana continua a deprezzarsi con grave preoccupazione della banca centrale iraniana che vanamente dice che la mossa è voluta per favorire l'export. Ipotesi molto surreale visto che l'Iran esporta praticamente solo petrolio e pistacchi.

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