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Questo articolo è stato pubblicato il 27 dicembre 2011 alle ore 13:23.

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Il rapporto annuale stilato dalla Dubai School of Government (DSG) è completamente dedicato al ruolo ricoperto dai social media nell'impegno civile e nell'emancipazione delle donne arabe nel Medio Oriente. Non appare essere una ricerca spontanea, sembra un passaggio obbligato in seguito alle rivoluzioni rosa degli ultimi mesi.

Sul piatto non c'è solo la sfida al divieto di guida, organizzata via web, che riconduce al mese di giugno quando le donne arabe si sono messe al volante contravvenendo così alla legge, come non c'è soltanto la web-iniziativa di harrasmap.org, sito che offre in tempo reale la mappa dei luoghi in cui le donne subiscono violenze, molestie e abusi. Nell'aria c'è qualcosa di più massiccio: una scommessa totale, radicale e potente. Le donne arabe, sempre ricorrendo al web, vogliono disfarsi della figura del "mahram", il tutore maschio (che può essere anche il figlio) senza il cui accordo non possono fare praticamente nulla, neppure inviare una domanda di lavoro, avere un'istruzione o viaggiare. Una donna araba ricoverata non può lasciare l'ospedale se un mahram non va a riprenderla. La rivoluzione vera e propria sta in questo, ed è appoggiata da Mona-Kareem, 23enne alle dipendenze del quotidiano "Al Rai", in Kuwait, che ha fatto conoscere al mondo, tramite l'hashtag #SaudiWomenRevolution, lo stato sociale in cui vivono le sue conterranee, cedute in sposa a 12 anni per 80mila rival sauditi (16mila 300 euro circa) e che devono ricorrere a un autista per muoversi in automobile.

Il sentiero che porterà le donne alla liberazione è lastricato di difficoltà che un comitato femminile dotato di pieni poteri potrà soltanto lenire ma non annientare. È questa la vera sfida, ed è in questo che il web potrà servire davvero, senza però bastare. Praticamente ovunque nel mondo le donne social-addicted sono numericamente di più rispetto agli uomini: ciò non vale però nella cintura mediorientale, dove la percentuale di donne attive sulle reti social è del 60% della popolazione online, mediamente 20 punti al disotto degli uomini.

Il tessuto culturale del Medio Oriente, in cui non vi è una netta scissione tra le leggi civiche e quelle religiose, non è terreno fertile per una sfida ai poteri forti fatta soltanto sul web, e il pericolo che le donne arabe si affidino esclusivamente ai bit per risorgere non farà di loro delle fenici. Il web, in questo caso, è un'arma a doppio taglio, occorre che le donne scendano in strada, che ottengano il giusto riconoscimento nelle architetture politiche della società, che protestino e manifestino il loro disagio. Soltanto dopo la Rete farà il resto nel processo di un rinascimento islamico.

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