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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2011 alle ore 06:39.

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La petroliera Savina Caylyn, rimasta nelle mani dei pirati per quasi 11 mesi, era uscita da poche ore dalle acque somale scortata dalla fregata Grecale quando il tanker Enrico Ievoli è stato attaccato a 30 miglia dalle coste dell'Oman. Un abbordaggio scattato poco prima dell'alba, considerato che alle 5 ora italiana la compagnia armatrice Marnavi è stata avvisata dell'attacco.
«I pirati sono a bordo ma noi stiamo tutti bene», ha detto il comandante Agostino Musumeci in una telefonata a Domenico Ievoli, amministratore delegato della Marnavi spa. La Enrico Ievoli trasporta un carico di 15.750 tonnellate di soda caustica da Fujairah, negli Emirati Arabi Uniti, a un porto non precisato del Mediterraneo. L'equipaggio è composto da 6 italiani, 5 ucraini e 7 indiani e proprio il comandante Musumeci nel marzo 2006 era riuscito a eludere un attacco dei pirati somali grazie anche all'intervento tempestivo di un elicottero della fregata italiana Euro. La presenza di marinai indiani sulla nave italiana potrebbe complicare le trattative per la liberazione, come è accaduto per la Savina Caylyn. Le navi da guerra di New Delhi hanno più volte aperto il fuoco contro i pirati uccidendo e catturando numerosi criminali somali. Per questo le bande preferiscono trattenere i marinai indiani cercando di effettuare scambi di prigionieri per liberare i propri uomini in carcere in India.
«Stiamo cercando di fare il possibile affinché tutto avvenga nel massimo della sicurezza» ha detto il vicepresidente della società armatrice, Attilio Ievoli, aggiungendo che «siamo in contatto con la Farnesina e abbiamo seguito solo le istruzioni di sicurezza date dal Governo». Come di consueto il ministero degli Esteri ha posto il massimo riserbo «per favorire l'esito positivo», annunciando solo di mantenere uno «stretto contatto» con i familiari dei marinai. In precedenza Rita Musumeci, moglie del comandante, aveva criticato la mancanza di notizie fornite direttamente dalla Farnesina («È una vergogna - aveva dichiarato -. Nessuno di questo Stato si è fatto sentire»).
Anche se Roma non ha mai autorizzato blitz per liberare mercantili, l'opzione militare non si può escludere almeno finché la Enrico Ievoli non avrà raggiunto il covo dei pirati che potrebbe trovarsi nell'area di Eyl, nel Puntland. L'unica nave da guerra italiana nell'area, la Grecale, sta scortando la Savina Caylyn ma non si può escludere che azioni militari possano venire effettuate da navi alleate come accadde in ottobre con la motonave Montecristo liberata dai marines britannici. Oppure che incursori italiani giungano nell'area via Gibuti con aerei ed elicotteri.
Di certo l'attacco di ieri evidenzia la vulnerabilità dei mercantili italiani. Quasi tutte le flotte mercantili occidentali proteggono le navi con militari o guardie private il cui impiego è stato in teoria approvato anche dall'Italia con una legge dell'estate scorsa. In pratica però mancano i decreti attuativi per imbarcare personale privato armato mentre la Marina militare ha messo a disposizione degli armatori solo poche decine di fanti del reggimento San Marco il cui impiego è a pagamento e a richiesta, anche se i costi previsti dalla convenzione tra Difesa e Confitarma non sono certo proibitivi: 2.100 euro al giorno per l'imbarco di un team di sei militari.
Il pattugliamento effettuato da due dozzine di navi da guerra internazionali appare inoltre sempre più inadeguato alla luce del progressivo allargamento dell'area interessata dagli abbordaggi mentre sporadici sono i procedimenti penali contro i pirati presi prigionieri, perlopiù rilasciati dalle stesse navi da guerra che li catturano. Inoltre nessun Paese ha assunto finora l'iniziativa di attaccare le "tortughe" sulla costa benché, pur senza troppo clamore, navi francesi abbiano bombardato in novembre le postazioni dei miliziani islamisti shabab nel Sud della Somalia.
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