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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2011 alle ore 15:25.

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Sarà un «omaggio affettuoso», così come lo definisce l'ufficio stampa dell'Istituto San Raffaele di Milano, quello che lunedì 2 gennaio verrà tributato a don Luigi Verzè. La camera ardente, allestita nella residenza privata del sacerdote, in via Olgettina 46, resterà aperta per sole due ore, dalle 9.30 alle 11.30. Sono previsti gli interventi dei medici e dei docenti che hanno lavorato accanto a don Verzè, mentre ufficialmente non è prevista la presenza di autorità. I funerali si svolgeranno alle 14.30 a Illasi, in provincia di Verona, dove don Verzè sarà temporaneamente sepolto. Poi la salma sarà tumulata nella cappella della Madonna della Vita del San Raffaele, dietro all'altare. Intanto si è venuto a sapere che la Guardia di Finanza ha acquisito la cartella clinica di don Verzè. Le Fiamme Gialle hanno fotocopiato i dati clinici nella giornata di ieri. Secondo quanto ha spiegato il portavoce dell'ospedale, Paolo Klun, si tratta di «una prassi consolidata per i casi di persone coinvolte in vicende finanziarie». (ANSA)

di Stefano Elli
Non si possono certo paragonare le morti di Mario Cal e di Don Luigi Verzè. Il primo suicida nel suo ufficio di via Olgettina, il secondo stroncato da un attacco cardiaco alla veneranda età di 91 anni. Un elemento comune però esiste. Nessuno dei due potrà più raccontare agli inquirenti milanesi come sia potuto accadere che uno dei fiori all'occhiello della sanità nazionale sia potuto collassare sotto il peso di un debito monstre da 1,5 miliardi di euro, né chi siano stati gli autentici beneficiari del fiume di denaro in nero generato dal gigantesco movimento di false e gonfiate fatturazioni che partivano dagli appalti commissionati in tutto il mondo dalla Fondazione.

Due morti che non renderanno più semplice il lavoro dei tre sostituti procuratori della Repubblica Luigi Orsi, Laura Pedio e Gaetano Ruta, che stanno indagando sul dissesto. Un'inchiesta che ha già portato in carcere Mario Valsecchi, ex direttore aministrativo della Fondazione San Raffaele Monte Tabor e il faccendiere Pierangelo Daccò, oltre all'apertura di un fascicolo a carico degli imprenditori Pierino e Luca Giovanni Zammanchi.

L'asta per la struttura ospedaliera, rilanci fino al 10 gennaio

Intanto è giunta alla Fondazione l'offerta del gruppo Rotelli per rilevare gli asset del gruppo: un'offerta migliorativa (305 milioni oltre all'accollo del debito), rispetto a quella lanciata dal gruppo Ior Malacalza (250 milioni). Per la verità erano attese altre manifestazioni d'interesse, inclusa quella, già in parte annunciata, del gruppo Humanitas, che però, per il momento, non è arrivata.

Esiste un ulteriore spiraglio temporale entro cui eventuali altri candidati potrebbero fare pervenire ulteriori manifestazioni d'interesse: lo potranno fare entro il 5 gennaio. La successiva scadenza è il 10 gennaio: entro quella data lo Ior e il gruppo Malacalza potranno esercitare la facoltà di equiparare e pareggiare le nuove offerte giunte e di fare valere il diritto di prelazione contenuto nel bando di gara: procedendo in proprio all'operazione.

A oggi, dunque i candidati in lizza sono due: da una parte il gruppo Rotelli (colosso sanitario che conta ben 16 ospedali, per quasi quattromila posti letto e un fatturato annuo di 760 milioni di euro) e dall'altra il Vaticano con lo Ior e il gruppo Malacalza i cui uomini siedono all'interno del nuovo board della Fondazione Monte Tabor e che giocano, nella medesima partita, il ruolo di arbitri e di giocatori. Un ruolo di potenziale conflitto d'interesse già rilevato sia dalla Procura della Milano sia dai giudici della seconda sezione fallimentare del Tribunale di Milano.

La decisione dei giudici

E si deve proprio a questi ultimi il fatto che si sia giunti a un'asta competitiva. Sino all'ottobre scorso quest'ultima opzione era un «non datur». Per sapere che cosa sia accaduto nel frattempo occorre andare a rileggere il decreto sull'ammissione alla procedura di concordato preventivo della Fondazione Monte Tabor firmato dal Presidente della sezione fallimentare Filippo Lamanna e dai giudici Roberto Fontana e Francesca Savignano (che pubblichiamo integralmente).

I tre giudici mettono nero su bianco il fatto che il potenziale «conflitto d'interesse» «possa gettare un velo d'ombra sulle modalità con cui il piano concordatario è stato disegnato proprio in funzione e sulla falsariga dell'offerta formulata dai suddetti investitori».

E ancora i giudici, soffermandosi sulla particolarità di avere una quasi perfetta sovrapposizione tra investitori acquirenti e amministratori, sottolineano come «tale proposta concordataria possa apparire finalizzata a sottrarre aprioristicamente ad altre possibili offerte del libero mercato gli asset core oggetto del conferimento». In altri termini, una situazione che vedeva la vendita allo Ior e a Malacalza come blindata, e che soltanto la «moral dissuasion» del Tribunale è riuscita a riconvertire in una gara vera e propria.

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