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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2012 alle ore 18:26.

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Rischia un'inaspettata battuta d'arresto l'inchiesta della Procura antimafia di Napoli su «arancia connection», il cartello mafioso tra clan dei Casalesi e i Corleonesi di Cosa nostra. Il Tribunale del riesame del capoluogo campano ha infatti dichiarato la nullità delle nove ordinanze di custodia cautelare emesse nel novembre scorso nell'ambito dell'indagine – condotta dai pm Cesare Sirignano e Francesco Curcio – sul monopolio del settore dei trasporti dell'ortofrutta nel Sud Italia e nel Lazio. Un business gestito, secondo gli inquirenti, proprio da imprese riconducibili alle famiglie criminali campane e siciliane.

Il Gip copia il Pm
I giudici partenopei hanno motivato la loro scelta sostenendo che il gip Pasqualina Paola Laviano, che aveva firmato i mandati di cattura, si era limitato esclusivamente a copiare pedissequamente e riassumere la tesi sostenuta dai pubblici ministeri, senza nemmeno sostituire le parole «questo pm» con la formula di rito «codesto gip».

Ordinanza annullata per Gaetano Riina
Tra le ordinanze dichiarate nulle dal Riesame c'è quella a carico di Gaetano Riina, fratello di Totò, capo dei capi di Cosa nostra e nuovo capo del mandamento di Corleone. Riina non ritorna in libertà solo perché è detenuto nel carcere di Poggioreale per un'altra inchiesta, condotta stavolta dalla Procura di Palermo, per associazione mafiosa. Nei prossimi giorni, i sostituti procuratori titolari del fascicolo inoltreranno nuovamente la richiesta di misura cautelare al gip Laviano. Intanto, per tre degli indagati si sono riaperte le porte delle celle e hanno potuto fare ritorno a casa.

Inchiesta su ortofrutta dei clan
Tanto i Casalesi quanto i Corleonesi, ritengono gli investigatori, traevano un rilevante vantaggio economico dalla gestione in regime di monopolio di una agenzia con sede nel Casertano, la «Paganese», che controllava tutti i trasporti dei prodotti ortofrutticoli relativamente ai mercati di Palermo, Trapani, Catania, Gela e Fondi, quest'ultimo considerato tra i più grandi e ricchi dell'intera Europa.

L'ombra di Matteo Messina Denaro
Nel descrivere la pericolosità degli indagati, tra i quali figura anche Nicola Schiavone, figlio del famigerato «Sandokan», i pm Sirignano e Curcio avevano parlato di un sottobosco di «imprenditori legati a Cosa Nostra ed in particolare legittimati ad esercitare la supremazia nel loro settore commerciale sulla base di un rapporto privilegiato e personale con la famiglia Riina e con la più stretta cerchia di imprenditori e uomini d'onore che ruotano intorno al noto latitante Matteo Messina Denaro».

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