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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2012 alle ore 08:09.

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Non si placa la bufera che ha investito la commissione Giovannini chiamata a confrontare i compensi dei parlamentari italiani con quelli dei colleghi di sei paesi Ue. E, sul dossier dei costi del Palazzo, si accendono nuovamente anche i fari del Governo che, già nelle scorse settimane, aveva provato a intervenire per decreto sulla materia, salvo poi essere costretto a un repentino dietrofront vista la competenza esclusiva delle Camere su stipendi&co.
Così, ieri, Giovannini è stato ricevuto a Palazzo Chigi dal premier Mario Monti. Oltre due ore di colloquio per un'accuratissima dissertazione nel corso della quale il numero uno dell'Istat ha illustrato al professore i risultati dell'analisi, il metodo usato, ma anche, e soprattutto, i tanti ostacoli incontrati nel portare avanti la ricognizione, peraltro non ancora completa. A Monti Giovannini ha quindi ribadito l'impossibilità di effettuare una media Ue. «Ci sono differenze rilevanti - è il ragionamento del presidente dell'Istat -. Un mero esercizio statistico di allineamento dei compensi non è fattibile». Il premier lo ha ascoltato con attenzione e, come si legge nel comunicato di fine incontro, «terrà conto per le successive determinazioni di sua competenza».

I possibili interventi sono per ora rimasti sullo sfondo. Il colloquio è servito infatti al professore per conoscere il lavoro della task force, voluta dal precedente Governo. Ma è lecito pensare che anche la selva di agenzie, istituzioni e comitati di varia natura (ben 31) - fotografate nella relazione e con scarsissime corrispondenze al di là delle Alpi - sarà esaminata con grande accuratezza dall'esecutivo, deciso a snellire la pletora di amministratori, consiglieri e commissari, che pesa sulle casse dello Stato.
La matassa, comunque, è molto intricata e lo stesso Giovannini, alla vigilia dell'incontro, aveva sottolineato «che lo studio è complesso e non poteva essere concluso entro il 31 dicembre 2011. Spero che i politici utilizzino i risultati provvisori e quelli che daremo in futuro per prendere decisioni che spettano a loro soltanto».

Un tentativo di placare le tensioni sorte attorno alla diffusione dei dati che, sempre ieri, ha spinto anche la Funzione pubblica a intervenire dopo le critiche del giorno prima di Renato Schifani, secondo cui il documento era stato «provvisoriamente acquisito dal sito» del ministero in assenza di una comunicazione ufficiale del Governo a Palazzo Madama. «La pubblicazione in rete, in modo chiaro e trasparente - si difende Palazzo Vidoni - risponde in maniera assoluta agli obblighi di comunicazione istituzionale».
Il clima, però, nonostante le precisazioni, resta rovente. Anche perché i risultati della commissione alimentano il contrattacco dei parlamentari sugli stipendi. Per Fabrizio Cicchitto (Pdl), la relazione «dimostra l'infondantezza della campagna denigratoria» contro i politici, mentre il centrista Pierluigi Mantini sostiene che gli affondi contro la politica «sono andati ben oltre i demeriti e le comprensibili critiche». Non manca, poi, chi, come l'ex ministro Gianfranco Rotondi, lancia una provocazione («ripristiniamo il mandato parlamentare gratuito e onorifico») o chi, come il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, chiede a Fini «di calendarizzare al più presto l'abolizione delle Province».

Quanto alle possibili ricette, la strada più "gettonata" nei corridoi del Palazzo è quella di sottoporre gli strumenti a disposizione dei parlamentari (ufficio, personale e attrezzature) al controllo della Camera di appartenenza. «Occorre ritoccare le indennità in linea con l'Europa agganciandole a parametri obiettivi come il potere d'acquisto e il sistema fiscale», suggerisce Giuliano Cazzola (Pdl), vicepresidente della commissione Lavoro di Montecitorio, che indica poi la necessità di «un rapporto più diretto tra rimborsi e presenze, tra Camere e assistenti». Sulla stessa falsariga anche l'ex ministro Cesare Damiano (Pd) che chiede «retribuzioni più basse per i parlamentari», ma anche «assistenti, segreteria e strumenti gestiti direttamente dalle Camere». In alternativa, ragiona il centrista Gianluca Galletti, «si può puntare alla certificazione delle spese di rappresentanza». L'importante, ricorda il leghista Maurizio Fugatti, «è dare un segnale chiaro. Alla gente non interessa dove tagli ma che si tagli».

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