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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2012 alle ore 06:38.

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MILANO
Il trattamento economico "a strati" offerto ai parlamentari italiani dalla Camera e dal Senato non sfugge solo ai tentativi di comparazione europea su sui si sta scervellando, con qualche imbarazzo, la commissione Giovannini. In gran parte dribbla, legalmente, anche il Fisco.
Per capirlo basta scorrere le tabelle prodotte fino a oggi dagli esperti incaricati dalla manovra-bis di Ferragosto di «livellare» i trattamenti economici degli eletti a quelli dei maggiori paesi Ue. A Montecitorio, il deputato-tipo accumula una cifra lorda complessiva di 20.108 euro: il 44% di questa cifra, però, è esentasse. Se con dieci minuti di passeggiata ci si sposta a Palazzo Madama, la situazione nei fatti non cambia: al Senato il totale guadagna ancora qualche punto e sale a 20.885, e la parte "libera" dal Fisco è il 44,7 per cento. Risultato: l'Irpef applicata sulla sola indennità di un deputato costa circa 5.100 euro al mese, una cifra che rispetto all'entrata totale vale poco più del 25 per cento: più leggera di quella che la legge prevede per chi con il proprio supera i 15mila euro lordi, all'anno.
A gonfiare le entrate dei parlamentari italiani sono infatti soprattutto le voci aggiuntive, che si sommano all'indennità ma hanno un comportamento diverso. Si tratta, prima di tutto, della «diaria», per sostenere le spese di soggiorno nella Capitale (a Montecitorio, per esempio, si tratta di 3.503 euro al mese, quasi 700 euro in meno rispetto ai 4.190 riconosciuti fino al 2010), e delle spese di trasporto. La circolazione «libera» dall'incombenza del biglietto su treni, aerei, autostrade e navi non basta infatti a coprire tutte le esigenze del parlamentare, che per esempio deve andare da casa all'aeroporto e da Fiumicino al Parlamento. I legislatori, cioè ovviamente gli stessi deputati e senatori, hanno pensato anche a questo, assicurando 1.331,7 euro al mese per coprire la parte di viaggio rimasta fuori dalla grautità totale. Completano il quadro i 3.690 euro (sempre al mese) per la rappresentanza, che passano dal gruppo parlamentare di appartenenza, 258,2 euro per telefonare e 41,7 per rimanere costantemente al passo della tecnologia informatica.
Tutte queste voci sono trattate come rimborsi spese, come accade nelle aziende quando si va in missione e, al ritorno, si presenta il conto dell'albergo o del ristorante. Delle somme così incassate, naturalmente, l'Irpef si disinteressa, perché i soldi servono a coprire la spesa sostenuta per lavoro, ma rispetto a questa esperienza quotidiana nell'impresa o negli enti pubblici il meccanismo previsto per deputati e senatori mostra una differenza non da poco. Le cifre sono a forfait, non c'è nessun pezzo di carta da presentare per averne diritto, e basta avere l'accortezza di non esagerare con l'assenteismo per non veder dimagrire troppo la diaria.
I bizantinismi del trattamento economico rendono difficile il lavoro di chi prova a fare chiarezza, ma nascondono paradossi in entrambi i sensi. La trattenuta per il vitalizio (8,6%), per esempio, non riduce l'imponibile fiscale, come accade per gli altri lavoratori, con il risultato che l'addio annunciato ai vitalizi potrà far crescere ancora di un po' il «netto in busta» dei deputati.
gianni.trovati@ilsole24ore.com
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