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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 09:34.

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UniCredit e le altre banche europee fanno i conti con aumenti di capitale "monstre". Gli spread di mezza Europa aumentano. L'Ungheria assiste al declassamento dei propri titoli di Stato a "spazzatura". Parigi e Berlino litigano pure sulla Tobin Tax. E nel frattempo la soluzione definitiva alla crisi del debito nel Vecchio Continente ancora non si vede. Inevitabile che, in uno scenario simile, le Borse reagissero negativamente.

A fine giornata hanno chiuso in maniera debole quasi ovunque, ignorando, a parte un effimero rimbalzo, anche la notizia della caduta del tasso di disoccupazione americano al livello minimo dal febbraio 2009.
A Milano il Ftse Mib ha così perso lo 0,82%, Francoforte lo 0,62%, Parigi lo 0,24%. Giù dello 0,49% Madrid e del 2,65% Atene. Unica a chiudere in territorio positivo è stata Londra, salita dello 0,45%. Incerta anche Wall Street, nonostante il vigore guadagnato proprio in chiusura delle piazze europee (coincidenza che si è ripetuta in ogni seduta di questa settimana). In settimana lo Stoxx ha guadagnato l'1,22% mentre il Ftse Mib ha perso 2,9 per cento.

Il caso UniCredit
Ma cosa si nasconde dietro la debolezza delle piazze finanziarie del Vecchio Continente? Parte del pessimismo ieri era da attribuire alla nuova débacle di UniCredit e, quasi di conseguenza, di buona parte del comparto bancario europeo, calato dello 0,82%. Partiamo da Piazza Cordusio: il titolo bancario ieri è crollato per la terza seduta consecutiva, lasciando sul terreno l'11,12%. Da mercoledì, giorno in cui sono state rese note le condizioni dell'aumento di capitale che partirà lunedì prossimo, il titolo ha perso il 37% del suo valore, passando da 6,33 a 3,982 euro. UniCredit ha così mandato in fumo 4,6 miliardi di capitalizzazione ed è atterrata a quota 7,6 miliardi, praticamente la stessa cifra (7,5 miliardi) che la banca chiederà al mercato a partire da lunedì.

Ancora una volta gli scambi si sono rivelati intensi: 115 milioni i pezzi passati di mano, quasi il doppio rispetto al giorno precedente, in pratica il 6% del capitale pre aumento. A conferma della frenetica attività realizzata da parte degli investitori, piccoli e grandi, che stanno alleggerendo le proprie posizioni sul titolo, il cui prezzo di riferimento rettificato a partire da lunedì prossimo sarà pari a 2,622 euro. Sarebbero stati però gli hedge fund esteri a prendere in particolare posizioni ribassiste sul titolo, si segnalava ieri nelle sale operative. E sull'onda della furia speculativa - e dei timori legati a un'ondata di ricapitalizzazione che l'Eba stima in 115 miliardi da avviare entro giugno - anche le altre banche europee sono cadute. Ubi ha perso il 2,3%, Intesa Sanpaolo il 4,3%, Bpm il 4,3%, Bper il 3,5%, Mps il 2,66%, Banco Popolare il 2,61%. Più contenuto invece il calo di Mediobanca (-0,87%).

I dati americani ed europei
È andato così a vuoto il tentativo di rimbalzo avviato dai listini nel primo pomeriggio quando si è saputo che la disoccupazione americana è calata all'8,5% a dicembre, grazie alla creazione di oltre 1,6 milioni di posti di lavoro in tutto il 2011. Un'ondata di pessime notizie provenienti dall'Eurozona ha convinto gli investitori che la strada, per il Vecchio Continente, è tutta in salita. La disoccupazione nell'area Euro resta inchiodata al massimo storico del 10,3%, con 45 mila senza lavoro in più a novembre. I consumi appaiono in pesante calo nello stesso mese, e perfino in Germania si è registrato un inatteso crollo degli ordini dell'industria, scesi del 4,8%, il calo più pesante dal gennaio 2009. Senza contare che Fitch ha tagliato il rating dell'Ungheria a spazzatura, abbassandolo di un gradino a BB+ da BBB-. Insomma, un panorama non proprio incoraggiante. Ecco come si spiega l'ulteriore accentuazione della caduta dell'euro, che nel pomeriggio è sceso fin sotto quota 1,27 dollari, sui minimi da 16 mesi.

Sull'Europa aleggia insomma lo spettro di una spirale recessiva. E a causarla, è il ragionamento fatto soprattutto dagli operatori anglosassoni che puntano sul disfacimento dell'euro, sarebbero una catena di eventi: se i governi europei pensano solo a tagliare i costi, nel tentativo di frenare la crisi dei debiti, l'effetto inevitabile è quello di una perdita drammatica dei posti di lavoro, con un calo a cascata della fiducia dei consumatori e una forte diminuzione della capacità di spesa. Tutto questo andrebbe a ridurre l'entrate fiscali e costringerebbe i governi a nuove misure di austerità per tenere bassi i costi del debito. Così, insomma, si creerebbe un circolo vizioso da cui difficilmente si riuscirebbe a uscire. Nel tentativo di evitare questa impasse, i politici europei proseguono nelle trattative tese a rilanciare un'Unione europea sempre più unita sia politicamente che fiscalmente. Ma sempre ieri sono sorte nuovi divergenze sull'introduzione della Tobin Tax, con la Francia favorevole a una sua introduzione entro l'anno e Italia e Germania che chiedono un'azione comune della Ue.

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