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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2012 alle ore 08:24.

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Giorgio La Malfa (LaPresse)Giorgio La Malfa (LaPresse)

Caro direttore,
i resoconti dei colloqui di ieri fra la Cancelliera Merkel e il Presidente Sarkozy confermano che siamo ad una svolta cruciale della vicenda dell'euro. C'è una domanda, sulla quale rifletto da tempo, che desidero rivolgere al Presidente del Consiglio nel momento in cui egli si appresta ad incontrare la Cancelliera tedesca Merkel e successivamente a rivederla a Roma insieme al Presidente Sarkozy.

La domanda è questa: se la Germania, la Francia ed i loro alleati più stretti del nord Europa chiederanno, nel prossimo vertice europeo, di sottoscrivere, nel nuovo trattato su cui si sta lavorando, un impegno vincolante e senza attenuazioni a ridurre annualmente i rapporto tra il debito pubblico e il Pil di un ventesimo della consistenza attuale, l'Italia firmerà o no questo trattato?

La mia opinione è che, avendo fatto una manovra della portata di quella che il Governo ha presentato nel mese di dicembre ed il Parlamento ha sollecitamente approvato, l'Italia ha dimostrato di volere e di saper fare uno sforzo serio per contribuire alla stabilità dell'euro. Essa inoltre ha affidato le redini del Governo a un uomo che conosce fino in fondo il valore degli impegni europei e che saprà continuare l'opera di consolidamento dei conti pubblici. L'impegno che ci viene richiesto di garantire una riduzione del rapporto fra debito e PIL di 5 punti percentuali l'anno per i prossimi 20 anni è insostenibile. Significa chiedere all'Italia un impegno che non potrebbe essere mantenuto. Tanto più, in un'economia che dalla metà degli anni 90 non cresce e che entra ora in recessione anche per effetto della manovra che abbiamo appena fatto.

Questo è il problema da affrontare. Non possiamo certo considerare come contropartita valida per questo vincolo, una qualche disponibilità della Germania a sottoscrivere delle dichiarazioni, che lasciano il tempo che trovano, sulla importanza della crescita economica. Né basterebbe una disponibilità tedesca a chiudere un occhio sugli interventi della BCE in acquisto dei titoli pubblici dei paesi in difficoltà. Il problema va visto per quello che è. La riduzione annuale di 5 punti del rapporto debito-Pil in un'economia che cresce del 2, 3 % l'anno, significa una deflazione interminabile.

Ricordo che nel Trattato di Maastricht venne previsto l'impegno a riportare il rapporto tra il debito pubblico e Pil al 60% ma ci si limitò a specificare che questo decalage dovesse avvenire con continuità e quindi con la necessaria gradualità. Il 5 % l'anno è una bomba deflagrante per una economia come quella dell'Italia.

I patti su cui è nata la moneta unica e sui quali l'Italia è vincolata discendono dal Trattato di Maastricht e furono sottoscritti da tutti. Se decidessimo di non apporre la nostra firma a un trattato che modifica drammaticamente il Trattato di Maastricht, non potremmo certo essere accusati di non volere la moneta unica, alla quale abbiamo sacrificato, dalla metà degli anni novanta, buona parte della nostra crescita economica e delle nostre esportazioni verso la Germania.

L'irrigidimento del patto è irragionevole. Esso viene presentato come un passo indispensabile per rafforzare l'euro. Non vorrei che dietro questo irrigidimento vi fosse un diverso e più preoccupante obiettivo: quello di far precipitare la crisi della moneta unica accollandone la responsabilità ai paesi che oggi sono in maggiore difficoltà. Se la Germania o gli altri paesi 'forti' stanno maturando la segreta convinzione che la moneta unica è stata un errore, debbono venire allo scoperto ed assumersi la responsabilità di aprire essi stessi una procedura per il superamento della moneta unica, con tutti i rischi e le conseguenze che ne conseguirebbero.

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