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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2012 alle ore 08:36.

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Se la Germania di Angela Merkel non fosse quella che si è fatta conoscere fin troppo bene nell'ultimo anno e mezzo di calvario dell'eurozona, se rigidità e testardaggine della cancelliera sul rigore a senso unico non le avessero restituito popolarità nel Paese portandola all'attuale 63%, sarebbe stato ragionevole aspettarsi dal suo incontro a Berlino con Mario Monti, se non una svolta, almeno qualche gesto concreto di europeismo.

E non per insensate nostalgie passatiste. Semplicemente perché, con Europa e Germania nell'anticamera di una nuova recessione, senza il rilancio di un fattuale spirito europeo alla lunga l'euro non sarà in grado di tenere.
A dirlo non è qualche sognatore federalista. Sono gli artigli dei mercati sui Governi, che colpiscono tutti i giorni a suon di spread elevati rispetto al Bund, rendendo sempre più insostenibili i costi di finanziamento dei debiti sovrani.

Invece, parole nuove ma per ora ancora parole: questo la Merkel ha regalato ieri all'Italia di Monti che pure si è presentata a Berlino dopo aver fatto i compiti a casa sul rigore, come aveva annunciato, e ora si appresta ad agire anche sul fronte delle riforme strutturali cominciando dalle liberalizzazioni.
Più o meno un mese fa a Strasburgo, nel primo incontro con il neo-premier, la cancelliera aveva chiosato sul suo programma di «riforme impressionanti». A Berlino ieri ne ha lodato «le cose straordinarie, il lavoro impressionante». Se chiacchiere e belle parole bastassero a sostenere la moneta unica, la crisi sarebbe archiviata da tempo. L'euro ieri non sarebbe sceso al minimo sul dollaro da 16 mesi.

Monti però sa benissimo che nel frattempo i termini della sua partita si sono invertiti: sono l'euro e l'Europa il problema dell'Italia e non viceversa. Per questo sa anche che con la "melassa" di Angela non potrà andare lontano. Invece ha bisogno e presto di fatti europei che si traducano in spread più bassi e in una solida spinta alla crescita economica. Ieri lo ha detto chiaro e tondo: si deve riconoscere che l'Italia non rappresenta più un rischio per l'euro né una fonte di contagio, ci aspettiamo dunque dall'Europa meccanismi che facilitino la trasformazione di buone politiche in tassi di interesse più ragionevoli e in una maggiore crescita economica.

Ancora una volta la Merkel ha sgusciato sui fatti giocando abilmente sulle parole: si è detta disponibile, per lanciare un messaggio positivo ai mercati, ad aumentare le risorse del fondo salva-Stati «a patto che anche tutti gli altri Paesi siano d'accordo». Ha detto che al prossimo vertice Ue di fine mese si discuterà «di crescita e non solo di bilanci». Al dunque però ha divagato sui mezzi con generici e scontati riferimenti al possibile ricorso ai fondi strutturali Ue non utilizzati, ricorrendo al solito mantra dell'innovazione, delle competitività e delle "migliori pratiche" da mutuare da danesi e svedesi... Perfino sulla Tobin tax, la tassa sulle transazioni finanziarie, è riuscita a dire di essere «personalmente» d'accordo, diversamente però dal suo Governo.

Quando un cancelliere tedesco parla tanto di Europa per non dire niente e poi fare poco nonostante il futuro dell'euro resti tanto incerto, quando pretende di controllare direttamente le politiche di spesa dei partner espropriandoli della sovranità sui bilanci nazionali senza concedere niente in cambio, né in termini di solidarietà finanziarie né di crescita economica, c'è davvero di che preoccuparsi. Anche perché il gioco dura da troppo tempo e non funziona. Come dimostrano i mercati.
Al punto che, invece di continuare a colpevolizzare i comportamenti irresponsabili dei Paesi mediterranei che faticosamente stanno rimettendosi in riga spesso pagando un altissimo prezzo sociale, bisognerebbe cominciare a dissertare anche di irresponsabilità della Germania (a meno che il suo disegno sia quello di affondare e non di salvare l'euro).

Tra la Francia di Nicolas Sarkozy risucchiata nella campagna per le presidenziali, la Germania della Merkel che sembra non accorgersi di giocare con il fuoco e il resto del club sempre più arroccato sulle colline degli interessi nazionali, l'Italia di Monti si ritrova con le mani legate. Costretta sulla difensiva. Per ora con qualche successo visto che sul debito sembra riuscita, nell'ambito dei negoziati in corso per la riforma dei Trattati, a fermare l'assalto tedesco mantenendo la disciplina vigente: cioè l'impegno a forti riduzioni annue tenendo conto però della variabile crescita economica e degli «altri fattori rilevanti». Il tutto a partire però dal 2014.

Salvo smentite, una vittoria del buon senso e della ragionevolezza. Non è poco di questi tempi insensati. Anche se per risanare l'euro ormai ci vuole ben più della riduzione del debito italiano. Sul deficit eccessivo di Europa, il buco nero che rischia di fagocitare la moneta unica, il nuovo Trattato (intergovernativo) però tace. I Governi, Merkel in testa, non ci provano neanche a colmarlo. Da solo Monti può molto poco.

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