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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2012 alle ore 09:32.

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Il premier Mario Monti sarà lo «zar» delle buste paga dei dirigenti pubblici e dei vertici delle società controllate dallo Stato, i grand commis. Con potere di decidere il tetto dei compensi, secondo le norme inserite nel decreto «salva Italia». Il tetto si dovrebbe applicare anche a società come Poste, Cassa depositi e prestiti, Rai, Anas, Fintecna, Fincantieri. Monti come Kenneth Feinberg, l'avvocato che nel 2009 fu incaricato dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, di sovrintendere agli stipendi dei manager delle banche, assicurazioni e industrie salvate con il denaro dei contribuenti americani.

Per i superdirigenti Usa fu introdotto un tetto di 500mila dollari annui lordi per la parte fissa dello stipendio, corrispondente a circa 350mila euro al cambio attuale. Il tetto poteva essere superato solo con la quota variabile o con i premi in azioni o stock option legati ai risultati ottenuti. E Feinberg, lo zar che vigilava sulla «congruità» degli stipendi di alcune centinaia di dirigenti, non ha solo tagliato le buste paga, talvolta ha concesso aumenti.

Il tetto ai compensi dei dirigenti pubblici italiani è una chimera inseguita da diversi anni. Ci hanno già provato sia il governo Prodi sia quello Berlusconi. Le norme approvate dal Parlamento non hanno mai raggiunto l'obiettivo, o perché stabilivano anche l'eccezione, oppure perché è mancato il pezzo finale della procedura, un decreto attuativo. Segno evidente delle resistenze dei grand commis.

Stavolta ci prova il governo dei professori e dei banchieri. Secondo la legge di conversione del decreto, «il trattamento economico annuo omnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle pubbliche finanze emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali» avrà come «parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione».

Una figura mitologica, questa, spesso evocata nelle leggi che fissano tetti per i pubblici stipendi. Questo trattamento, è stato spiegato in Parlamento ma non è indicato nella legge di conversione, è di 311mila euro lordi l'anno. L'attuale primo presidente della Cassazione è Ernesto Lupo, un magistrato che non ha nulla a che fare con la vicenda, il suo stipendio è stato tirato in ballo a sua insaputa come tetto per i grand commis. Attenzione, però: sarà un decreto del presidente del Consiglio, Monti, a fissare entro la fine di marzo il tetto «omnicomprensivo», previo parere delle commissioni parlamentari. Il premier potrebbe anche fissare un tetto più basso.

La norma aggiunge una deroga per i dipendenti (o consulenti) pubblici chiamati a funzioni direttive o dirigenziali presso ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le Autorità indipendenti: in questi casi l'ulteriore «indennità» non può superare del 25% il trattamento economico complessivo percepito.

Un regime diverso si applicherà ai vertici delle società partecipate dallo Stato e non quotate in Borsa, per i quali il tetto dovrebbe essere più alto. Sarà un decreto del ministro dell'Economia, sempre lo «zar» Monti, entro la fine di febbraio a «classificare per fasce» le società non quotate «sulla base di indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi». Per ogni fascia è indicato il compenso massimo al quale i cda devono «fare riferimento» per fissare gli emolumenti. La componente variabile «non può risultare inferiore al 30 per cento della componente fissa» ed è corrisposta in misura proporzionale agli obiettivi raggiunti, verificati dall'assemblea dei soci.

Restano libere da vincoli le società controllate dal Tesoro quotate, come Eni, Enel, Finmeccanica, Terna, quelle con gli stipendi più alti, fino a 3-4 milioni all'anno per il numero uno.

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