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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2012 alle ore 08:11.

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ROMA
L'Italia perde la A per la prima volta nella sua storia, e per di più mantiene le prospettive negative. Nella giornata in cui Francia e Austria hanno perso la «tripla A», Standard & Poor's ha rivisto il giudizio sull'Italia, che scende di due gradini da A a BBB+, lo stesso livello di affidabilità di Perù, Colombia, Irlanda, Russia e Kazakhstan. Decisione severa, in parte attesa dal mercato, comunicata ufficialmente solo in tarda serata, alla chiusura di Wall Street.
La lettura del comunicato di S&P's conferma che si tratta prima di tutto di una bocciatura dell'Eurozona. Un downgrading che mette in luce la debolezza della governance economica e al tempo stesso denuncia il ricorso a continue manovre di aggiustamento, senza che vi siano contemporaneamente azioni concrete per la crescita. In Italia è mutato il clima politico, e questo è positivo, ma non è accaduto però in Europa: «Il contesto politico indebolito a livello Ue è controbilanciato da una capacità domestica più forte dell'Italia di implementare politiche economiche per mitigare la crisi». Tuttavia il rating italiano verrebbe di nuovo declassato se «il governo tecnico fallisse nella realizzazione delle riforme strutturali, che riteniamo necessarie per potenziare la crescita, a causa dell'opposizione dei gruppi di interesse oppure se il nuovo Governo fosse fatto cadere prima del termine».
Le riforme del mercato del lavoro e delle professioni potrebbero rilanciare la competitività italiana e rafforzarne la tenuta. «I rating dell'Italia sono appesantiti da un elevato debito pubblico e da deboli potenziali di crescita. Sono invece sostenuti da un'economica in salute e diversificata, dall'atteso surplus primario e da considerevoli risparmi del settore pubblico» afferma la nota, dove si afferma tra l'altro che l'outlook di S&P's sull'Italia è negativo, «fatto che indica che c'è almeno una possibilità su tre che il rating possa essere tagliato ancora nel 2012 o nel 2013». In una nota separata l'agenzia precisa che «il taglio riflette quella che consideriamo una crescente vulnerabilità dell'Italia ai rischi di finanziamento esterni e le negative implicazioni che ciò può avere per la crescita economica e quindi le finanze pubbliche».
In altre parole S&P ha rilevato che i costi del finanziamento sui mercati sono cresciuti molto e potrebbero rimanere elevati per un prolungato periodo di tempo, con implicazioni negative per la crescita e conti pubblici. Nel 2012-13 secondo l'agenzia il Tesoro italiano pagherà rendimenti storicamente alti sulle scadenze più lunghe oppure emetterà titoli di Stato a breve scadenza per sfrutture il livello più basso dei tassi di interesse. Ma questo viene considerato negativo perchè diminisce uno dei punti di forza dell'Italia: la lunga vita media del debito oltre i 7 anni. Dal punto di vista dell'agenzia statunitense, la decisione comunicata ieri sera è conseguente all'annuncio dello scorso 5 dicembre, quando l'Italia era stata posta sotto osservazione. Il rating «tripla B» indica per Standard & Poor's «un'adeguata capacità di rispettare gli impegni finanziari ma una certa suscettibilità alle condizioni economiche avverse e a mutamenti del quadro finanziario».
Colpisce il declassamento di due gradini del merito creditizio del nostro Paese, pur in presenza dell'ultima, consistente manovra correttiva, apprezzata dall'Europa e dall'Fmi. Nel giudizio dell'agenzia statunitense ha pesato evidentemente un quadro macroeconomico che vede il Pil sprofondare a -0,5% (se andrà bene), elemento decisivo sulle prospettive di tenuta del sistema. Il declassamento è esacerbato «dall'aggravarsi dei problemi politici, finanziari e monetari all'interno dell'Eurozona». La decisione di Standard & Poor's mette in evidenza che è l'Europa e in particolare l'area euro nel mirino, come mostra la doppia scure di ieri: il declassamento del rating di alcuni Paesi e lo stop al negoziato tra banche e Governo greco sul riscadenzamento del debito. Secondo S&P il rating si può stabilizzare se le riforme strutturali saranno realizzate completamente, aumentando la crescita e se altre misure come le dimissioni e privatizzazioni ridurranno in misura forte «il fardello» del debito.
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