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Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2012 alle ore 16:33.

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Di Sara Bianchi
Ciascuno nel suo ufficio, a pochi metri di distanza, in via Bellerio. Roberto Maroni e Umberto Bossi sono stati entrambi al lavoro nella sede federale della Lega Nord. L'ex ministro, come spesso al lunedì, è a Milano e oggi c'è pure il leader del movimento. Dopo la telefonata tra i due dell'altro giorno, è il momento del primo faccia a faccia post scontro sul caso Cosentino, con le polemiche che ne sono seguite. «Ci siamo visti e abbiamo fatto due chiacchiere», ha ammesso l'ex ministro dell'Interno.

Maroni si dice soddisfatto («mi ha fatto davvero molto bene») della «grande dimostrazione di affetto» arrivata nei suoi confronti da parte della base. Ma anche un poco «preoccupato» perchè ha già ricevuto «320 richieste di incontri pubblici solo in Lombardia». «Sono impegnato per i prossimi dieci anni», scherza.
In via Bellerio si sarebbe discussa anche la possibilità di un'uscita pubblica dei due, Bossi e Maroni insieme, magari già mercoledì sera nell'incontro con l'ex ministro previsto a Varese, per il quale è boom di adesioni. L'appuntamento è stato spostato al teatro Apollonio (1.200 posti) visto che il Santuccio, indicato inizialmente, può contenere solo 300 persone.

Rientrato il divieto per Maroni di tenere comizi, dopo che il Senatur ha fatto retromacia, l'ex ministro intervistato da Fabio Fazio domenica sera a Che tempo che fa (seguito da oltre 5 milioni di telespettatori), non se l'è presa con il Capo, ma con chi mal lo consiglia. Quella in corso ha tutta l'aria di una tregua. Anche se ancora troppo poco tempo è passato perché le tensioni di questi giorni siano spazzate via e poi le questioni politiche interne restano tutte aperte, a partire dall'organizzazione dei congressi.

Che siano «assolutamente fondamentali», lo ribadisce Attilio Fontana, sindaco di Varese vicinissimo a Maroni. Anche Fontana ritiene che Bossi sia mal consigliato, invece «il segretario, essendo il più bravo di tutti, non ha bisogno di consigli». Il divieto poi rientrato per Maroni di incontrare i militanti «era dichiaratamente una fatwa - dice Fontana - perché impedire a uno dei rappresentanti più importanti del movimento di avere incontri e di parlare con la base è una cosa che non si è mai vista nemmeno nei regimi più restrittivi».

È il cosiddetto cerchio magico ad essere nel mirino dei maroniani, non Bossi. Come conferma un altro fedelissimo dell'ex ministro, il parlamentare Giacomo Stucchi. Il problema secondo Stucchi «é che la base vuole essere interpellata per stabilire quale debba essere il gruppo dei primi consiglieri del segretario federale. E chiede che al fianco del leader ci sia chi é legittimato dal basso». Le indicazioni non possono che arrivare dai congressi, a partire da quelli delle regioni per arrivare a quello nazionale e federale. Ma Bossi, dice Stucchi «non si tocca».

Nemmeno la gestione dei soldi del movimento è andata giù ai maroniani, dopo il caso dei fondi (quasi 10 milioni di euro) investiti in Tanzania e a Cipro dal segretario amministrativo federale, Francesco Belsito. Di questo si discuterà nel consiglio federale indetto il 23 gennaio, il giorno dopo la manifestazione di Milano nella quale qualcuno teme contestazioni a Bossi e striscioni o cori pro Maroni.

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