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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2012 alle ore 07:48.

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Roma chiama. Fin de non recevoir, risponde, secca, Berlino. Altro che Merkmonti al posto di Merkozy. Nella Germania di Angela Merkel oggi non ce n'è per nessuno: il rigore a senso unico è un dovere assoluto per tutti, la solidarietà invece non è e non sarà, a quanto pare, un diritto acquisito.
Anzi, la parola sembra sparita dal vocabolario tedesco, edizione 2011-12.

«L'Italia è un'economia forte, gli italiani sono in grado di aiutarsi da soli» ha scandito ieri il capo dei consiglieri economici della Merkel. Respingendo al mittente l'invito di Mario Monti a un ragionevole do ut des: in cambio del forte impegno italiano alla disciplina di bilancio, un gesto di incoraggiamento tedesco.
In concreto, un alleggerimento degli alti tassi di interesse che continuano a taglieggiare il servizio del nostro debito pubblico. Silenzio sul ruolo della Bce, anche se resta il convitato di pietra nella partita. Nein, nein, nein. Angela Merkel però gioca con il fuoco. Per non smentire in Germania il suo ruolo di castigamatti dei Paesi mediterranei indisciplinati, in breve per non rischiare di bruciarsi la carta che le ha permesso di risalire la china della popolarità, oggi oltre il 60%, il cancelliere non esita a mettere a rischio la tenuta dell'euro.

Sempre che non sia proprio questo il suo vero gioco: provocare una selezione darwiniana tra i suoi membri, liberandosi dei più deboli ma addossando proprio a loro la responsabilità dell'eventuale spaccatura (o collasso) della moneta unica.
Il sospetto diventa legittimo di fronte alla pretesa tedesca di ottenere dai partner la firma di una vera e propria cambiale in bianco con il nuovo patto fiscale: rinuncia alle sovranità nazionali sulle politiche di bilancio senza la garanzia di ammortizzatori o compensazioni di sorta, né in termini di solidarietà finanziaria né di stimoli alla crescita europea. Il tutto blindato in una nuova riforma dei Trattati europei.

Non è certo un sovversivo il premier italiano quando denuncia il rischio di «una crisi di rigetto» tra i cittadini europei, tra i quali già si contano 23 milioni di disoccupati. La Merkel dovrebbe sapere che i governi cambiano a Roma ma il ribellismo in Europa non fa parte del Dna dell'Italia. Che magari mugugna ma si adegua sempre alla disciplina, anche a prezzo di enormi sacrifici. E persino alla rinuncia della propria autonomia di bilancio, nell'atavica convinzione che il vincolo esterno sia una frusta provvidenziale per convincerci a vincere la riluttanza nazionale al cambiamento, alla perdita di rendite di posizione dure a morire.

Anche gli altri Paesi mediterranei si stanno tutti lentamente rimettendo in riga, Grecia compresa, se è vero che proprio ieri in una discussione a porte chiuse al Bundestag la Merkel stessa avrebbe riconosciuto che la crisi dell'euro andrebbe stabilizzandosi.
La Francia no. Da sempre nei momenti topici non ha esitato a rovesciare il tavolo europeo. È successo a metà degli anni 50 con il progetto di difesa comune europea, mai più resuscitato e nel 2005 con la bocciatura della Costituzione europea. Potrebbe succedere per la terza volta con il patto fiscale, magari in sede di ratifica. Già la perdita della tripla A è uno shock difficile da digerire per i francesi, perché sancisce la fine di ogni residua finzione di parità con la Germania. In breve la definitiva archiviazione del contratto franco-tedesco che aveva dato origine all'Europa comunitaria.

Un'umiliazione forse insostenibile per il Paese dalla grandeur ormai inesistente, quello che del progetto europeo amava ripetere, senza temere il ridicolo, «l'Europe c'est la France». Davvero questo Paese, a suo tempo fiero di avere strappato con la moneta unica alla Germania il condominio sul vecchio marco, ma oggi frustrato come non mai sarà ora disposto a consegnare a Berlino la sovranità sulle leve del bilancio francese? Si vedrà.
Certo le rigidità della Merkel, a meno che non vengano in qualche modo attutite, non aiuteranno l'intesa con Parigi: con Nicolas Sarkozy o, peggio, con il suo successore se sarà il socialista François Hollande che ha già bocciato il patto fiscale. Per questo è lungimirante l'appello di Monti a Berlino a non tirare troppo la corda del rigore e quindi dell'euro. Certo il premier chiede ossigeno per l'Italia ma pensa anche all'Europa. E alla Francia che diventa sempre pericolosa quando, come oggi, si ritrova con le spalle al muro, derubata della sua maestà europea.

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