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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2012 alle ore 06:41.

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È il giorno dei pronunciamenti. Quello di Roberto Maroni, atteso stasera alle 21 al teatro Apollonio di Varese, sarà preceduto da un documento redatto da dodici su sedici sezioni provinciali (l'organizzazione leghista somma alle 12 province lombarde altre quattro ritagliate sui confini di aree d'interesse storico, come la Valcamonica e il Ticino) in cui si chiede ai vertici una condotta trasparente nella gestione economica del partito e la convocazione di tutti i congressi provinciali che mancano all'appello. Questi ultimi sono propedeutici a quelli regionali-nazionali (l'ultimo dei quali si è celebrato in Lombardia nel gennaio del 2007).
La sollevazione della base innescherà un processo che si concluderà con un congresso federale. È la vittoria dell'ala guidata dall'ex ministro degli Interni, anche se pure i maroniani più convinti, come il sindaco di Tradate Stefano Candiani, continuano a ripetere «che la Lega è un grande partito ad azionariato diffuso». Non appena si scende un po' sul dettaglio, però, la parole si fanno più affilate, anche se condite da una buona dose di humor. Spiega Candiani: «Non so se esista il cerchio magico. Posso dire che attorno a Bossi c'è un filtro e francamente non so quanto magico sia. Un messaggio per il segretario federale? Ascolta la base, che ti ha sempre voluto un gran bene». Parole concilianti. Che potrebbero preludere a un grande abbraccio tra i due leader leghisti. Una sorta di purificazione collettiva che espellerebbe le scorie accumulate durante i lunghi anni di permanenza al potere. Ma si tratta di una visione ottimistica. Il vero colpo di teatro potrebbe essere rappresentato dall'apparizione del vecchio leader del partito a fianco di Maroni. Molti se lo augurano, qualcuno è pronto a sottoscriverlo. L'adesione all'incontro di oggi è stata massiccia, inaspettata persino per gli uomini più fedeli a Maroni. In suo favore si sono espressi pure i giovani padani lombardi guidati da Eugenio Zoffini, militante dall'età di 13 anni e consigliere comunale a Erba. Spiega Zoffili: «Alla manifestazione di domani (oggi per chi legge, ndr) parteciperanno tutti e sedici i coordinatori provinciali dei giovani con molti dei loro militanti. Posso solo aggiungere che sabato abbiamo invitato Roberto Maroni a distribuire insieme ai giovani del movimento i volantini per il raduno di domenica prossima a Milano contro il governo Monti».
I giovani padani non sono un'eccezione. C'è una corsa a coprire Maroni, a ripetere che «è uno dei nostri», anche se poi i militanti aggiungono che pure «Bossi è uno dei nostri». Insomma, unità nella diversità, almeno fino a quando non si approda a Varese, l'epicentro dello scontro. Alla segreteria provinciale c'è il reguzzoniano Maurilio Canton, né eletto né acclamato ma direttamente proclamato dai vertici per evitare che il voto dei delegati desse il via al candidato di Maroni. Il congresso provinciale dell'ottobre scorso e la ribellione dei maroniani che ne è seguita ha chiuso precocemente la stagione dei congressi provinciali. Nel 2011 si sono celebrati, oltre Varese, quelli di Brescia e della Valcamonica. Ne mancano all'appello tredici. Tutti si aspettano un'improvvisa accelerazione a partire da dopodomani. Marco Pinti, il ventiseienne segretario cittadino di Varese, si gode l'insperato successo delle adesioni alla manifestazioni del teatro Apollonio che piovono nel suo ufficio da ogni parte della Lombardia. Dice: «Roberto Maroni è iscritto alla mia sezione, dunque è un mio militante. Ovvio che mi sentissi in dovere di difenderlo. Chiunque al mio posto avrebbe fatto la stessa cosa. Bossi? Guai a mettere in discussione il nostro segretario».
Difficile cavare qualcosa di diverso ai leghisti. C'è una sorta di sospensione delle ostilità, almeno in apparenza. La reazione dei militanti ha spiazzato i componenti del cerchio magico, sicuramente ha fatto emergere i limiti politici e umani di questo assurdo cordone sanitario che finisce per enfatizzare le inabilità di Umberto Bossi. La base sembra coesa nel rifiuto delle due Leghe, tutti capiscono che si tratterebbe di un suicidio. Ma basta dare un'occhiata ai vertici federali del partito per capire che delle quattro poltrone che dovrebbero esprimere il massimo dell'autorevolezza almeno due sono occupate da comprimari che non devono fare ombra al lìder maximo. Uno dei quattro posti di vertice è stato assegnato a Francesco Belsito, il segretario amministrativo federale ed ex sottosegretario alla Semplificazione normativa, nonché vicepresidente di Fincantieri. Belsito è l'uomo degli investimenti in Tanzania: si dichiara bilaureato ma fatica a produrre il diploma di scuola media superiore.
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