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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2012 alle ore 06:39.

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IL CAIRO. Dal nostro inviato
L'Italia non può dare una mano a risolvere i problemi politici dell'Egitto: al momento anche gli egiziani faticano ad aiutare se stessi. Ma ha i mezzi per dare risposte utili a quelli economici, lancinanti quanto i primi. Dal dicembre 2010 al dicembre 2011, solo come esempio, le riserve valutarie del Paese sono passate da 36,2 a 18,1 miliardi di dollari.
È dunque per rassicurare ed essere rassicurato che il ministro degli Esteri Giulio Terzi è venuto al Cairo, la prima visita del nuovo Governo italiano nel più importante e critico dei Paesi del Medio Oriente arabo. La riconversione dell'ultima tranche da 100 milioni di dollari del debito egiziano, «immediatamente disponibile», senza altri passaggi burocratici, garantisce Terzi, è la dote che porta l'Italia. Denaro speso per finanziare progetti di sviluppo in questo Paese, aggiunge Mohammed Amr Kamel, il ministro degli Esteri egiziano.
Quello che garantisce in cambio l'Egitto è che nonostante l'ondata populista che segue ogni rivoluzione, non ci saranno nazionalizzazioni e i cospicui investimenti italiani verranno protetti.
Un nuovo panel darà certezze legali agli arbitrati. La questione non è di poco conto: ogni egiziano e ogni straniero che abbiano fatto affari prima dell'inizio della rivoluzione, il 25 gennaio dell'anno scorso, è sospettato di corruzione. Sono più di 6mila i casi indagati dalle procure.
Fra il Cairo e Roma «la partnership strategica ha radici profonde», ricorda Terzi. L'Egitto è uno dei pochi Paesi in cui l'Italia si presenta come "sistema": ci sono grandi, medie e piccole imprese di ogni settore. Nessuna ha smobilitato nel 2011: al contrario, negli ultimi sei mesi sono stati fatti affari importanti. Ma tutti sono seriamente preoccupati. «Posso rassicurare tutte le imprese, sono al sicuro» garantisce Amr Kamel.
Il primo giro d'orizzonte egiziano di Giulio Terzi è stato breve ma piuttosto intenso. Prima il generale Mohamed Tantawi che è tante cose, oggi in Egitto: capo provvisorio dello Stato, capo del Consiglio supremo militare che guida la transizione, ministro della Difesa e dell'Industria, comandante in capo delle forze armate. Le ultime due cariche le esercitava anche nell'ancien régime. Un'accumulazione di cariche sospetta e un comportamento discutibile per molti egiziani. In Occidente il ruolo dei militari è controverso: una preoccupazione e contemporaneamente un argine alla crescita dell'Islam politico. La lettera di Giorgio Napolitano recapitata a Tantawi da Giulio Terzi, è lo specchio di questo doppio sentimento: l'Egitto, dice il presidente «può fare da battistrada sulla via dello Stato di diritto delle istituzioni democratiche, della tutela dei diritti fondamentali della persona, della libertà di culto e del rispetto delle minoranze».
Non si sa molto del versante politico nel colloquio fra Terzi e Tantawi. In quello economico l'uomo al momento più potente d'Egitto ha chiesto all'Italia di sostenere sui tavoli internazionali le necessità dell'emergenza sociale. I due Paesi collaboreranno in Libia: l'Egitto garantirà la manodopera dei progetti italo-libici. Dopo l'incontro con Tantawi, tra le foto di tutti i capi di Stato maggiore dall'Egitto di Faruk a oggi, Terzi ha visto il premier Kamel Ganzour e alcuni dei sui ministri; le principali autorità religiose musulmane e copte; il segretario della Lega Araba Nabil al Arabi col quale si è parlato di Siria. E infine gli imprenditori italiani, non meno preoccupati degli egiziani.
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