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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2012 alle ore 09:39.

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ROMA. Dopo essere stata contagiata in maniera grave dai peggioramenti continui della crisi greca, l'Italia si prepara a trarre beneficio dai primi segnali di guarigione del debito più malato d'Europa. Una qualsiasi schiarita sul fronte della ristrutturazione del debito greco, con conseguente progresso nell'erogazione del secondo pacchetto di aiuti da 130 miliardi - essenziale per evitare il disorderly default con il rimborso di 14,4 miliardi di bond in scadenza - non potrà che avere un impatto benefico sui rendimenti dei titoli di Stato italiani e sul loro spread a confronto con la Germania. Le cure per sanare i problemi cronici greci dovranno però essere molto forti.

Il raggiungimento di un accordo tra la Grecia e la comunità finanziaria internazionale, rappresentata dall'IIF, è solo la prima tappa di un percorso che ha come traguardo immediato il rimborso integrale e puntuale del debito in scadenza il 20 marzo e come traguardo di medio-lungo termine la sostenibilità dei conti pubblici greci con l'impostazione di una traiettoria di rientro del debito/Pil (che punta ora a quota 190%) attorno al 120% per il 2020.

La ristrutturazione del debito pubblico greco, stando alle analisi di Barclays, BnpParibas e Ubs, potrebbe comportare una perdita per i privati di almeno il 50% sul valore facciale dei titoli di Stato e un haircut come minimo del 70% sul net-present-value dei bond calcolato sul valore attuale di mercato. Per avvicinarsi alla sostenibilità del debito pubblico, è necessario un haircut di almeno il 50% sul valore di circa 200 miliardi di euro di debito detenuto dai privati, stando al programma di aiuti Ue-Fmi. Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi, l'accordo raggiunto tra il Governo greco e l'IIF dovrà essere accettato nel corso di febbraio dalla stragrande maggioranza dei detentori privati di titoli greci per arrivare, idealmente, a una partecipazione al 100 per cento. Per ottenere questo risultato, la Grecia potrebbe decidere di introdurre le clausole di azione collettiva (Cac) in via retroattiva sui titoli di Stato per usarle e costringere tutti i privati (compresa la Bce?) ad accettare la perdita massima.

L'impatto sull'Italia di questa complessa operazione sarà altrettanto variegato. Se la Grecia dovesse imporre un haircut superiore a quello inizialmente previsto, il mercato potrebbe a caldo reagire molto male, con un allargamento dello spread BTp/Bund: una perdita eccezionale per i privati, tuttavia, è stata già ampiamente scontata nei prezzi e quindi è prevedibile che un'operazione molto punitiva venga infine accolta positivamente, perché necessaria per uscire dalla secca. Non farà bene ai BTp, per contro, l'utilizzo coercitivo delle clausole Cac che dovranno essere inserite nella documentazione dei titoli di Stato italiani con l'avvio del fondo permanente di stabilità Esm (salvo ripensamenti dell'ultim'ora). In quanto ai Cds, nel caso in cui la ristrutturazione dei bond greci divenisse un trigger event che attiverebbe queste assicurazioni, questi strumenti derivati tornerebbero in auge. E questo potrebbe alimentare nuovamente il circolo vizioso tra costo dei Cds e spread. Se l'haircut greco dovesse tagliar fuori i Cds, il mercato dovrebbe adeguarsi e contare in futuro su uno strumento in meno per la copertura del rischio-sovrano: con impatti non necessariamente benefici sui BTp.

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