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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2012 alle ore 10:07.

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ROMA - Alzano la voce, fanno un po' di mugugni. C'è chi dice che sarebbe servito «più coraggio», chi lamenta che non s'è fatto abbastanza «contro i poteri forti» e intanto rivendica la marcia indietro su taxi e farmacie. Pdl, Pd e Terzo Polo si preparano a ricevere il decreto sulle liberalizzazioni.

«Il Parlamento è sovrano», ha ricordato Mario Monti, che nonostante l'elogio alle forze politiche che lo sostengono e i ripetuti colloqui preventivi di questi giorni, non sottovaluta umori e malumori. Al momento l'unico a promuovere a pieni voti il governo è il terzo Polo di Casini e Fini. Pdl e Pd sono invece intenzionati a far sentire il loro peso durante il passaggio parlamentare del decreto. Hanno bisogno di lasciare il segno. Ecco perché sia Pierluigi Bersani che Silvio Berlusconi, mentre ancora era in corso il Consiglio dei ministri, non hanno resistito a manifestare una certa insoddisfazione sui contenuti del provvedimento.

Un modo anche per accontentare quanti all'interno delle stesse forze politiche non nascondono l'insofferenza verso il governo, che potrebbe sfociare, se non adeguatamente gestita, anche in sorprese parlamentari. Il problema è che il «segno» non va nella stessa direzione. È stato il presidente del Consiglio a incaricarsi di dover fare la sintesi di cui il testo approvato ieri a Palazzo Chigi è il prodotto.I primi a saperlo sono proprio i leader della maggioranza che, non a caso, anche ieri sono stati espressamente citati da Monti. Questo ovviamente non mette a riparo il decreto dai sussulti parlamentari, soprattutto alla Camera dove, tra le fila del Pdl, cresce il drappello di coloro che vorrebbe mandare in frantumi la linea della «responsabilità».

«Un processo di liberalizzazioni solo abbozzato, dove i grandi sistemi conservano intatta la loro posizione dominante renderebbero difficile al Pdl sostenere l'azione del governo», avvisava nel pomeriggio Osvaldo Napoli, che tra i deputati del partito del Cavaliere non può essere certo annoverato tra i falchi. Dichiarazioni quasi minacciose ma in linea con la pancia del Pdl. In realtà nel partito dell'ex premier, a parte la scarsa empatia per l'ex rettore bocconiano e la sua squadra, le tendenze sono tutt'altro che omogenee. La difesa a spada tratta dei tassisti appartiene quasi interamente agli ex An, mentre l'ala liberista del partito punta soprattutto a voler rimettere mano alle parti del decreto che coinvolgono le grandi reti, energetiche e ferroviarie, senza dimenticare i notai. Parlare di emendamenti al momento è prematuro, ma è probabile che le proposte di modifica partiranno dalle priorità indicate nei giorni scorsi dal segretario del Pdl Angelino Alfano.

Anche il Pd rumoreggia. Il presunto vis-à-vis svoltosi giovedì a Palazzo Chigi tra emissari di Berlusconi e alcuni tecnici del governo non è stato preso bene da Bersani, che oggi fa sentire la sua voce chiedendo a Monti «più coraggio» e preannunciando emendamenti. A entrare nel merito è Stefano Fassina, responsabile economico del partito, che punta l'indice sulla deroga al contratto nazionale dei ferrovieri («Fiat basta e avanza») e rilancia sulla vendita per le parafarmacie dei medicinali di fascia C. In compenso, Monti incassa l'atteggiamento meno barricadero dell'Idv di Di Pietro, che ieri ha preferito mettere l'accento sulla decisione dell'esecutivo di congelare il beauty contest (la cessione gratuite delle frequenze) lasciando alla Lega il compito di attaccare il decreto, (definito dal Carroccio uno «specchietto per le allodole»). Nessuna minaccia arriva, ovviamente, dal Terzo Polo. Casini, Fini e Rutelli confermano di essere i più convinti alleati del governo. Caustico come spesso avviene il leader dell'Udc: «C'è chi dice che si poteva fare di più, mi limito a constatare che si è fatto quello che non si era fatto fino ad oggi», ricorda Casini. «Andare avanti» è il motto del Terzo Polo. Lo ripete anche il capogruppo di Fli Benedetto Della Vedova, definendo i passi compiuti ieri come «decisivi». Una spruzzata di ottimismo, quella che arriva da Terzo Polo, che non basta a garantire Monti dell'assenza, strada facendo, di qualche spiacevole sorpresa.

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