Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2012 alle ore 08:01.

My24

ROMA - Chi al momento si sente più spiazzato è soprattutto il Pdl. A partire da Silvio Berlusconi. Il Cavaliere continua a ripetere che il decreto dovrà essere «modificato», che non saranno accettati «altri diktat». Eppure, a microfoni spenti, molti si augurano che alla fine sul pacchetto liberalizzazioni, Mario Monti, già in prima battuta al Senato, si decida a mettere la fiducia. Sotto sotto se lo augurano anche nel Partito democratico.

Anche dalle parti del partito di Pier Luigi Bersani c'è parecchio nervosismo per un provvedimento che sarebbe stato ammorbidito rispetto alla versione originaria per il pressing delle lobby. Una posizione condivisa anche dal Terzo polo. Pier Ferdinando Casini ha detto chiaro e tondo che «indietro non si torna» e ieri Lorenzo Cesa, segretario dell'Udc, ha ripetuto che «il pacchetto va accettato così com'è».

Ecco perché, se in ballo ci fosse la fiducia al governo, ovvero se il voto non fosse più sul merito del provvedimento ma sul consentire o meno a Monti di continuare a governare, Pdl e Pd dovrebbero accantonare le loro doglianze e pronunciare il loro sì. Dal premier non è ancora arrivata alcuna indicazione e ieri il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà ha confermato che «per ora non c'è un orientamento né in un senso né in un altro». Nel Pdl il partito dei 'falchi' rimane però agguerrito. E le proteste di numerose categorie, il timore di perdere consensi e anche la minaccia della Lega di far saltare la giunta lombarda e di correre da sola alle amministrative stanno mettendo a dura prova la compattezza di quello che ufficialmente è ancora il partito di maggioranza relativa.

Deputati e senatori alzano la voce, facendosi portatori delle richieste che arrivano dalle piazze. Accusano il governo di usare «due pesi e due misure» su liberalizzazzioni e lavoro, adottando per le prime un decreto e muovendosi con maggiore prudenza, attraverso un disegno di legge e il preventivo confronto con le organizzazioni sindacali, sul fronte del lavoro. «Non si tratta di una difesa d'ufficio delle corporazioni ma dell'ovvia considerazione per la quale, in un momento di difficoltà per il Paese, la richiesta di sacrifici ha un senso se riguarda tutti con la medesima sollecitudine», spiega Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato, proprio il ramo del Parlamento dove probabilmente nei prossimi giorni approderà il decreto liberalizzazioni. Una posizione che è di tutto il Pdl che in sostanza continua ad accusare Monti di essere stato «forte con i deboli» (tassisti, farmacisti, avvocati e notai) e «debole con i forti» (banche, assicurazioni ma anche Ferrovie). «Il rischio è che resti il dirigismo perché ai consumatori ‐ aggiunge Osvaldo Napoli ‐ verrebbero più vantaggi non da 500 notai in più ma rendendo superflua la loro presenza per atti di importo inferiore a 500mila euro!».

Anche il Pd è pronto ad alzare la voce. La separazione di Eni da Snam resta tra le priorità. Così come il rafforzamento delle norme per liberalizzare le professioni. Ma il primo obiettivo è «difendere il decreto dagli attacchi delle lobby e di chi vorrebbe ulteriormente annacquarlo», sottolinea Antonio Lirosi, senatore Pd a cui Bersani ha affidato il compito di coordinare al Senato le proposte di modifica al decreto, che stamane saranno oggetto di una riunione ad hoc presieduta dal responsabile economico Stefano Fassina. «La norma sulle polizze-mutui non va bene ‐ aggiunge a mo' d'esempio Lirosi ‐ perché resta sempre l'obbligatorietà per il consumatore che sottoscrive un mutuo di dover accettare anche la polizza assicurativa della banca sia pure dietro presentazione di due preventivi, impedendogli così di rivolgersi ad altre compagnie che, presumibilmente, gli applicherebbero un premio inferiore».

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi