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Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2012 alle ore 08:38.

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File lunghissime, anche di centinaia di metri, davanti alle stazioni di servizio. Le code hanno paralizzato ieri Napoli, ma scene analoghe si sono viste anche in provincia; a Gorizia invece quasi tutti gli impianti sono rimasti chiusi dopo aver erogato fino all'ultima goccia di benzina; a Ravenna i distributori della zona hanno rischiato seriamente di rimanere a secco ma poi, nel primo pomeriggio, si é aperto un varco che ha fatto filtrare sei autobotti: in diverse località d'Italia è scattata la corsa al carburante dopo i blocchi dei Tir in tutta Italia e con lo spettro di dieci giorni di sciopero delle pompe di benzina.

L'Unione petrolifera è però tranquillizzante: ieri la situazione in alcune regioni del Sud si è avviata alla normalità, anche se rimane a macchia di leopardo. Le autobotti hanno rifornito adeguatamente le stazioni di servizio in Campania mentre in Calabria, dopo la rimozione dei blocchi da parte di Tir selvaggio, le code si sono diradate.

Ma a scatenare la psicosi ha contribuito anche il proposito della serrata dei benzinai che con Tir selvaggio non ha niente da spartire, ma che potrebbe mettere l'Italia in ginocchio: i benzinai di Faib e Fegica hanno infatti confermato lo sciopero di dieci giorni proclamato per protestare contro le liberalizzazioni del governo Monti. I gestori delle due federazioni invocano liberalizzazioni più incisive, capaci di arginare il potere dei petrolieri.

All'appuntamento dello sciopero, di cui si stanno ancora definendo le date proprio «per evitare di aggravare l'attuale stato di forti tensioni e disagio sociale», i benzinai si presenteranno però divisi. Se le associazioni facenti capo a Cisl e Confesercenti hanno infatti deciso di incrociare le braccia, Figisc e Anisa aderenti a Confcommercio, hanno optato invece per la strada opposta: ritirate lo stop annunciato di fronte alla primissima versione del provvedimento circolata nelle scorse settimane e poi corretta.

A Faib e Fegica non va proprio giù il fatto che il governo abbia cambiato il decreto in corsa, abdicando a loro giudizio «alla lobby dei petrolieri». Nel provvedimento non è presente quindi «nessun impianto multimarca» e ai gestori non viene garantita alcuna libertà di rifornirsi sul libero mercato alle condizioni più convenienti. Secondo i sindacati dei gestori, «il Governo si limita a gettare fumo negli occhi dell'opinione pubblica liberando solo chi è già libero, cioè i proprietari degli impianti», che sarebbero in totale circa 500 impianti su un totale di 25mila.

Di tutt'altro avviso la Figisc, secondo la quale invece nel governo «alla fine ha prevalso il buon senso», in particolare proprio riguardo all'eliminazione del diritto di esclusiva. In questo modo sono state evitate, spiega la federazione, «quelle misure che avrebbero ottenuto, senza alcun riflesso sui prezzi al consumo, solo il risultato di far espellere i gestori dalla rete alla scadenza dei contratti».

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