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Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2012 alle ore 06:41.

Lo slogan era già nell'aria quando Barack Obama è entrato al Congresso americano per il suo ultimo discorso sullo stato dell'Unione, l'ultimo, almeno, del primo mandato alla Casa Bianca. Un discorso che è stato il battesimo del fuoco d'una dura campagna per la rielezione a novembre. «An America built to last», un Paese costruito per durare, grazie alla difesa dei ceti medi e alla cura di troppe diseguaglianze.
Un messaggio per contrastare l'assalto dei candidati repubblicani, che gli rinfacciano invece una retorica da guerra di classe, un'economia in panne e interventi pubblici che, ai loro occhi, sprecano risorse e spaventano le imprese.
Ieri notte, con i toni solenni dell'appuntamento istituzionale al Congresso a Camere riunite, Obama ha raccolto appieno la sfida: agli Stati Uniti del futuro servono nuove riforme, a cominciare da una riforma fiscale che distribuisca più equamente il carico delle tasse. E serve un'economia capace di offrire opportunità a tutti.
Obama, mettendo in secondo piano appelli all'unità dei partiti a Washington, ha deciso piuttosto di invitare il Paese a unirsi dietro a politiche «di buonsenso», dipingendo una nazione al bivio: «Possiamo accontentarci di un Paese dove un numero sempre più ristretto di persone è sempre più ricco mentre una crescente quantità di americani riesce a malapena a tirare avanti. Oppure possiamo ridare vita a un'economia dove tutti hanno una chance, dove tutti conribuiscono il giusto, e dove ognuno rispetta le stesse regole». Per Obama questa economia ha bisogno di almeno quattro pilastri, il rilancio del manifatturiero e dell'energia come delle qualifiche dei lavoratori e dei valori americani, che vedono il Governo al fianco e non contro l'imprenditoria privata. «Non torneremo – ha detto – a un'economia indebolita dall'outsourcing, dall'indebitamento e da finti profitti finanziari».
Il presidente, nel chiedere di fatto all'opinione pubblica di rinnovare la fiducia a una presidenza nata sotto le insegne del cambiamento e poi scossa dalla crisi, aveva altre frecce al suo arco. Dai recenti segnali di schiarita sul fronte di crescita e occupazione, soprattutto quando confrontati con l'Europa, ai successi rivendicati in politica estera, l'uccisione di Osama bin Laden e il sostegno alla Primavera araba e alla caduta di Muhammar Gheddafi.
Ma il dardo più acuminato è forse rimasta la questione fiscale. Con uno dei principali candidati repubblicani, Mitt Romney, in affanno per le basse aliquote pagate sui redditi da investimento (vicine al 15% contro un massimo del 35% sui redditi tradizionali), Obama ha reso visibile al grande pubblico il contrasto: accanto alla First Lady Michelle ieri notte si è seduta Debbie Bosanek, la segretaria di Warren Buffett. L'Oracolo di Omaha ha sostenuto apertamente quella che è ormai nota come la Buffett Rule, la tesi che Bosanek non dovrebbe essere soggetta ad aliquote superiori alle sue. Oltre a Bosanek ospite d'onore è stata, in un tributo all'innovazione americana, la vedova di Steve Jobs, Laurene Powell.
Nel corso dell'intera giornata David Plouffe, stretto consigliere di Obama, ha incalzato i repubblicani, affermando che il caso Romney «dimostra di quale riforma abbiamo bisogno», che non penalizzi i ceti medi. Plouffe ha indicato che Obama si batterà perché la legislazione fiscale venga semplificata e perché il Paese trovi così le risorse per «andare avanti riducendo il deficit e investendo nell'industria come nella scuola».
Il presidente porterà ora la sua campagna nel cuore del Paese, con un tour di cinque Stati a cominciare dal Colorado. Nel clima di incertezza sul futuro e di polemiche sulla speculazione finanziaria e sui compensi nell'alta finanza, acutizzate dal movimento di protesta Occupy Wall Street, spera che anche più di un elettore conservatore e indipendente sia sensibile alla sua controffensiva. Alla Casa Bianca non è sfuggito un sondaggio condotto nei mesi scorsi da Washington Post, che ha trovato il 53% di elettori repubblicani a favore di aumenti delle imposte sui redditi sopra i 250mila dollari l'anno.