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Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2012 alle ore 06:40.

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Dialogo nella fermezza. Come è tradizione nelle trattative che interessano il settore strategico e delicatissimo dell'autotrasporto, è sempre stato questo l'atteggiamento mantenuto dai Governi di ogni colore. Significa trattare, se del caso, solo dopo che i blocchi siano rimossi e la situazione logistica ripristinata in modo ottimale. L'annuncio fatto ieri dai "ribelli" di Trasportounito va nella direzione giusta: via i blocchi. Non resta che verificare se anche la realtà seguirà questo indirizzo. Solo allora sarà, eventualmente, il tempo del confronto. E solo se non sarà strumentale, come fa invece pensare la scelta, da parte di chi organizza la protesta, di alzare l'asticella dopo avere scoperto che le richieste della prima ora erano già state tutte esaudite proprio nel decreto contestato dai padroncini dei Tir. La trattativa poi deve tenere conto della effettiva rappresentatività dei "ribelli": 7mila iscritti su 120mila aziende che, per il 93%, non approvano per nulla l'iniziativa della protesta.

Gestire i blocchi dei camionisti è un incubo per ogni amministratore. Non a caso tra le norme di autodisciplina del settore figura proprio la rinuncia a esercitare la facile protesta affidata alle "barricate di camion". Il codice è stato sottoscritto da tutte le organizzazioni del settore nell'ambito dell'attività di moral suasion che esercita la Commissione di garanzia sul diritto di sciopero, una normativa di civiltà, all'avanguardia in Europa (proprio in questi giorni è oggetto di imitazione in Francia). Di qui la giusta fermezza annunciata dal ministro dell'Interno, Annamaria Cancellieri. Fermezza ancor più necessaria nel momento in cui l'economia si rende conto di quanto sia stata profonda la ferita aperta da quelle agitazioni. Sono ingenti i danni procurati al mondo delle imprese, alla grande distribuzione, all'agricoltura.

La Fiat, come spesso le capita, diventa l'azienda simbolo. Negli stabilimenti dove si è consumata l'aspra dialettica dei metalmeccanici sui margini di produttività, da aumentare anche grazie a operazioni millimetriche sui tempi di lavoro, il blocco dei Tir ha portato all'azzeramento di ben tre turni in cinque impianti (anche oggi). In un colpo solo è probabile che sia stata erosa una parte non banale di quei margini di miglioramento che l'intero accordo aveva garantito al gruppo. Diventa evidente quanto il conflitto sociale, se esaperato in forme selvagge, si possa rapidamente trasformare in conflitto tra classi, tra lavoratori. Una guerra tra interessi (diseguali perchè i lavoratori delle fabbriche "hanno già dato") nel momento in cui il Paese chiede a tutti di imparare a riconoscre una nuova nozione di "bene comune": la capacità di un popolo di riconoscere quali siano le possibilità di sacrificio di ciascun suo cittadino.

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