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Questo articolo è stato pubblicato il 26 gennaio 2012 alle ore 06:41.

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ROMA
Anche quest'anno saranno le proteste a colorire l'inaugurazione dell'anno giudiziario. Solo che stavolta, a differenza del passato, sulla scena non ci sono i magistrati ma gli avvocati. È finita l'epoca del conflitto perenne tra toghe e politica. Si volta pagina con le toghe nere, rosse, abbandonate sulle sedie vuote. Il conflitto - oggi in Cassazione e sabato nelle Corti d'appello - avrà come protagonisti i principi del foro che, lancia in resta, accusano il governo Monti di avere «un approccio puramente economico» anche rispetto alle riforme sulla giustizia e, in particolare, sulla professione forense. Un approccio che rischia di «far divorare il diritto dall'economia», impedendo a loro di garantire il diritto fondamentale dei cittadini alla difesa». «I diritti vengono prima del mercato» avverte il presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa. Stamattina sarà lui, nell'Aula magna del Palazzaccio, a sintetizzare i contenuti del «manifesto» che i presidenti degli Ordini leggeranno sabato, prima di abbandonare l'aula. Seguiranno una manifestazione di piazza, a Roma, un «avviso» sui diritti da difendere pubblicato sui quotidiani nazionali e locali e infine due giorni di sciopero (il 23 e 24 febbraio).
Sono 240mila gli avvocati italiani, unica anomalia in Europa, come viene da anni ricordato anche in queste cerimonie. Ne ha parlato l'anno scorso il presidente della Cassazione Ernesto Lupo, come una delle cause dell'eccessiva lunghezza dei processi, e ne riparlerà anche stamattina, alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, del presidente del Consiglio Mario Monti, del ministro della Giustizia Paola Severino e di altre autorità.
Il clima è cambiato ma i problemi restano, primo fra tutti l'inefficienza della giustizia, che la crisi economica ha (finalmente) imposto all'attenzione generale perché frena la crescita del Paese. La giustizia civile, anzitutto, rimasta sullo sfondo delle priorità con i governi Berlusconi e ora di nuovo in primo piano. Ma anche la giustizia penale, rimasta finora sullo sfondo dell'attuale governo, sebbene abbia performance altrettanto negative, "favorite" da norme sulla prescrizione che sono un unicum in Europa. Ne parlerà Lupo - anche perché il contesto europeo è la bussola che muove l'azione dell'Esecutivo in carica - sperando di trovare orecchie più attente dell'anno scorso. Riprenderà temi già sollevati in passato, compreso quello di un ricorso eccessivo alla custodia cautelare, che chiama in causa le responsabilità dei magistrati ma anche di una politica sempre incline a far credere all'opinione pubblica che il carcere sia la risposta migliore per garantire la sicurezza collettiva. Il decreto-Severino appena approvato dal Senato (ora alla Camera) tenta un approccio diverso e, anche se sul piano concreto darà risultati modesti, sul piano culturale potrebbe invece avere un peso importante per aprire la strada a riforme strutturali indispensabili ad alleggerire la giustizia penale e il carcere, senza intaccare la sicurezza.
Il rischio, conme sempre in queste cerimonie, è che ognuno (magistrati, avvocati, governo, forze politiche) legga nelle parole del più alto magistrato d'Italia quel che è più funzionale alla propria causa, perdendo il quadro d'insieme.
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