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Questo articolo è stato pubblicato il 26 gennaio 2012 alle ore 06:37.

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DAVOS. Dal nostro inviato
Nuove tensioni di mercato sul Portogallo - anche legate allo stallo delle trattative per il salvataggio della Grecia tra privati e governo Papademos - hanno spinto i certificati assicurativi contro l'insolvenza (Cds) a valori record mentre i rendimenti sui titoli a 10 anni di Lisbona hanno anch'essi toccato valori da primato.
I Cds a 5 anni sul Portogallo, che di fatto operano come un'assicurazione anti-insolvenza sul debito del Paese, hanno toccato i livelli dello scorso mese di aprile a 1.310 punti base.
«Il problema è se riusciranno a circoscrivere il contagio alla Grecia o se dovranno estenderlo al Portogallo», ha detto Hugo Dixon fondatore e direttore di Reuters Breakingviews a margine del Wef a Davos.
Il premier portoghese, Pedro Passos Coelho, sostiene che l'Europa sta attraversando una fase di «rischio sistemico» e che «occorre definire un meccanismo che eviti il contagio dalla crisi greca», mentre il leader degli industriali portoghesi, Antonio Saraiva, sostiene che il suo Paese ha bisogno di altri 30 miliardi di euro di aiuti internazionali, oltre ai 78 miliardi di euro già previsti dal salvataggio di Ue e Fmi.
Il presidente di Bnp Paribas, Baudouin Prot, al World Economic Forum di Davos ha detto che l'ultima offerta avanzata dalle banche nelle trattative sullo swap del debito greco è «il massimo accettabile per un accordo volontario». Poi ha aggiunto che «un default greco non sarebbe la fine dell'euro». Anche per Daniel Gros, presidente del Ceps l'eventuale default greco è «una sconfitta locale ma il morale del resto delle truppe è alto».
Beatrice Weder di Mauro, svizzera di nascita e di cui si ipotizzza l'ingresso nel board a tre della banca centrale svizzera nonché membro del team dei consiglieri economici del cancelliere Angela Merkel, ha invece affermato sempre a al Wef che un «eventuale default greco non avrebbe un grande impatto sull'eurozona».
Insomma Atene non è più un problema a Davos «anche perché – dice Stefano Aversa di Alixpartners - un default di fatto c'è già e ora si tratta di trovare una soluzione che arriverà come in tutte le trattative di ritrutturazione alla 23° ora». Giuseppe Recchi, presidente dell'Eni, ha ricordato come la crisi del debito sovrano europeo abbia fatto scendere in campo i tecnocrati in Italia, con l'approvazione del parlamento, e «i cittadini sono pronti a fare ciò che serve per tenere la barca a galla con un consenso al premier Mario Monti del 61%». Poi si è chiesto ironicamente come «possa la Gran Bretagna avere ancora la tripla A» in una condizione economica certamente non florida e una industria manifatturiera in difficoltà.
Così mentre le trattative tra la Grecia e suoi creditori privati sembrano sempre più difficili, montano le pressioni, Fmi in testa, sulla Bce che ha 45 miliardi di bond greci perché faccia uno sforzo maggiore e intervenga a sollevare Atene dal suo debito, partecipando alle perdite sulle obbligazioni greche da cui ora è invece esclusa. Ma da Bruxelles e Francoforte la risposta è unanime: i patti non si cambiano, lo sforzo è già grande.
Una cosa è certa: tutti a Davos stanno cercando soluzioni alla crescita che può avvenire attraverso nuove quote di mercato o maggiore esportazione. «Ecco perché l'Italia deve dirigersi con mentalità nuova - dice sempre a Davos Alessandro Castellano, ammnistratore delegato di Sace - verso i Paesi in crescita come i Brics».
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