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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2012 alle ore 08:11.

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Due gradini in meno, da «A+» ad «A-», e prospettive «negative». La decisione di Fitch di abbassare il merito di credito del debito a lungo termine della Repubblica italiana non può certo essere definita un fulmine a ciel sereno: non hanno sorpreso i suoi tempi e neppure la misura. Era stato in fondo lo stesso David Riley, il capo della divisione rating sovrani dell'agenzia, a ricordare poco più di due settimane fa come esistesse una «significativa possibilità» di declassamento del nostro Paese. Con la mossa di ieri, inoltre, Fitch si colloca proprio in mezzo alle altre due grandi concorrenti: un «notch» sopra S&P (Bbb+), uno sotto Moodys (A2), che diventa così la più generosa nei confronti dell'Italia.
Per la verità la pillola avrebbe potuto essere ben più amara, e non tanto perché la stessa sorte («outlook negativo» compreso) è stata ieri condivisa da Spagna (che ha subito un downgrade di 2 giudizi ad «A» da «AA-») e da Belgio («AA» da «AA+»), Slovenia («A» da «AA-») e Cipro («BBB-» da «BBB»), tutte penalizzate di un gradino. Quanto perché, come ha spiegato la stessa Fitch nel comunicato che ha accompagnato l'annuncio, «il forte impegno del governo italiano nella riduzione del deficit di bilancio e nell'adozione di riforme strutturali, così come la significativa riduzione dei rischi di finanziamento a breve termine dovuti agli effetti dell'asta di rifinanziamento a 3 anni della Bce», hanno impedito un'azione più severa.
Nella propria analisi, l'agenzia scompone idealmente in due parti la decisione sull'Italia: un «notch» è dovuto al contesto internazionale, ovvero a quella «debolezza sistemica che soltanto una fondamentale riforma dell'Unione monetaria europea può risolvere». Fitch sottolinea infatti i rischi creati da «shock finanziari e monetari che i membri dell'Eurozona potrebbero trovarsi ad affrontare alla luce delle crescenti divergenze che si sono create all'interno dell'area a livello di condizioni economiche, monetarie, del credito e nelle prospettive», problemi condivisi dagli altri Paesi messi nel mirino.
Oltre all'intensificazione della crisi europea e al suo impatto sulle capacità di finanziamento di banche e governi (alleviata soltanto in parte dalle operazioni dell Bce), l'Italia, però, ci ha messo del suo per meritare l'altro passo indietro nella scala dei valori di Fitch. E su questo punto, l'analisi dell'agenzia si fa particolarmente severa: la recessione alla quale il nostro Paese si sta avviando (Fitch prevede una contrazione del Pil dell'1,7% nel 2012 e dello 0,2% nel 2013) contribuirà a rendere ancora più evidente il differenziale esistente fra i tassi di interesse da pagare sul debito e la crescita (2-3% nel medio termine rispetto a una media dell'1% nel periodo fra il 1999 e il 2007). In questo modo sarà quindi più difficile raggiungere da una parte gli obiettivi ambiziosi di riduzione del deficit pubblico e ottenere dall'altra il sostegno politico e della piazza su riforme fiscali e strutturali che comportano misure poco popolari.
Certo, non manca un riconoscimento agli sforzi compiuti dal governo guidato da Mario Monti (che intervenendo al Tg1 ha detto di prendere il giudizio «con distaccata serenità»). Per esempio quando si ricorda la manovra supplementare pari al 4,83% del Pil adottata a dicembre, oppure la proposta di dare rilevanza costituzionale al pareggio di bilancio o ancora la riforma delle pensioni. Fitch però lancia anche un avvertimento a non fare affidamento al solo lato delle entrate (che vale per due terzi della manovra e rende il carico fiscale tra i più elevati a livello internazionale) e un invito a intraprendere riforme fiscali ancora più profonde in modo da «rafforzare la fiducia sul fatto che un elevato avanzo primario possa essere sostenibile per diversi anni, oltre che aumentare il potenziale di crescita e produttività dell'economia».
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