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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2012 alle ore 06:42.

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Luigi Lusi (Ansa)Luigi Lusi (Ansa)

È pronto a restituire alla Margherita i soldi sottratti e a patteggiare la pena, Luigi Lusi. L'ex tesoriere dei Dl e attuale senatore del Pd ha fretta di mettere la parola fine all'inchiesta che lo ha travolto e che, con ogni probabilità, segnerà la conclusione della sua carriera politica. Con un marchio pesante: quello di essersi appropriato di quasi 13 milioni di euro del partito per investirli in immobili e iniziative imprenditoriali riconducibili a lui stesso o a persone di sua fiducia.

«Siamo incazzati e addolorati, la Margherita intende recuperare tutto il maltolto. Stiamo verificando i conti del partito che comunque ha bilanci sani» ha commentato l'ex presidente dei Dl e attuale leader dell'Api, Francesco Rutelli, a sua volta chiamato in causa nell'inchiesta come testimone. Duro anche il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. «Sono sgradevolmente sorpreso» ha detto, annunciando provvedimenti nei confronti del senatore, che potrebbe essere espulso dal partito: «Stiamo raccogliendo tutti gli elementi, poi i nostri organismi decideranno. Non faremo sconti a nessuno». La capogruppo Pd al Senato, Anna Finocchiaro, ha già chiesto a Lusi di dimettersi dal gruppo.

L'indagine nasce due mesi fa da una segnalazione della Banca d'Italia su una movimentazione sospetta per l'acquisto di un lussuoso appartamento in via Monferrato 24, nel centro di Roma. Gli accertamenti del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza hanno svelato che il beneficiario dell'operazione da 1,9 milioni di euro era Lusi. Ulteriori approfondimenti hanno fatto emergere il travaso di una montagna di soldi, 12.961.000 euro, per lo più provenienti da rimborsi elettorali, dalle casse della disciolta Margherita alle tasche del tesoriere.

La maggior parte del denaro è stata fatta affluire tra gennaio 2008 e agosto 2011 su un conto intestato alla TTT Srl, società di Lusi, come corrispettivo per consulenze risultate essere fittizie. Interrogato il 17 gennaio, l'ex tesoriere ha ammesso ogni addebito. «Si, è vero, ho preso io quei soldi, erano il compenso per le mie prestazioni. Mi assumo la responsabilità di tutto e di tutti» ha confessato al procuratore aggiunto Alberto Caperna e al pm Stefano Pesci. Che ora stanno valutando se disporre il sequestro dei beni acquistati con il denaro sottratto dalle casse del partito. Per il momento i magistrati, su richiesta della stessa Margherita, hanno congelato ogni iniziativa. Un eventuale sequestro renderebbe più tortuoso il percorso attraverso cui il partito, poi confluito nel Pd, punta a riavere il maltolto.

Entro qualche settimana Lusi, che il 25 gennaio si è dimesso da tesoriere, dovrà fornire garanzie per la restituzione del denaro. Se questo non sarà possibile, i pm procederanno con i sequestri. In attesa di vedere come andrà a finire la trattativa, sembra difficile che il senatore possa restituire l'intero capitale, già investito in una serie di società canadesi, tra cui lo studio di architettura della moglie Pina Petricone, e per circa 6,2 milioni di euro in immobili a Roma (l'appartamento in via Monserrato, gravato da un mutuo pluriennale) e Genzano (la villa in cui abita e il suo studio legale). Investimenti su cui il senatore, attraverso i soldi dei Dl, ha pagato regolarmente tasse per 5,1 milioni.

Ma l'inchiesta chiama in causa indirettamente anche Rutelli, che si è costituito parte offesa. Secondo le Fiamme Gialle l'ex presidente della Margherita aveva la delega a operare sul conto usato da Lusi per movimentare le somme oggetto di indagine. Ascoltato come teste il 16 gennaio, Rutelli ha dichiarato di non saperne nulla: «Dei fondi del partito se ne occupava in via esclusiva Lusi. Dovete chiedere a lui». In Procura si esclude un possibile coinvolgimento nell'inchiesta del leader dell'Api. «Non è emerso nulla a suo carico – riferisce un investigatore - i soldi sono finiti a Lusi. Rutelli era all'oscuro di tutto».

Eppure tra gli ex Dl c'era stato chi aveva espresso perplessità sulla gestione dell'ex tesoriere. È il caso di Arturo Parisi e Pierluigi Castagnetti. «Io e altri – ha ricordato Castagnetti - facemmo presente che le voci del bilancio erano troppo riassuntive, chiedemmo spiegazioni» che però non arrivarono mai, nonostante le rassicurazioni.

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