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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2012 alle ore 06:38.

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ROMA.
Un lapsus, che lo stesso Mario Monti definisce «involontario», lo fa inciampare mentre parla del patto di bilancio appena firmato in Europa. «L'accordo consentirà alla banca centrale tedesca di sentirsi più rilassata...». Subito si corregge «volevo dire la Banca centrale europea». Qualche tempo fa la Süddeutsche Zeitung lo aveva perfino nominato "il genero tedesco ideale" ma ieri il premier si accorge in un secondo della gaffe fatta e torna subito al cuore del suo messaggio. Che riguarda, appunto, lo spread tra i Bund tedeschi e i nostri titoli di Stato da qualche giorno in piacevole discesa. «Deve scendere ancora e scenderà, dobbiamo aspettarci che la tendenza sarà decrescente: dai massimi di novembre siamo già a 200 punti in meno». Insomma, ecco i primi risultati del Governo tecnico chiamato in campo per spegnere l'incendio dell'inaffidabilità italiana ma resta l'incertezza sul lungo termine. Parla prima al Tg5 Monti e poi, più lungamente, a Matrix e il suo messaggio è un misto tra ottimismo e avvertimenti. «Se prevarranno le resistenze corporative, gli italiani sappiano che i tassi di interesse ritorneranno verso l'alto: allora sarebbe meglio che studiassimo il greco ma non quello antico, quello moderno». L'incubo della Grecia resta e resta soprattutto ora che comincia la fase delle riforme, dei cambiamenti sulla pelle degli italiani.
Dopo le liberalizzazioni tocca al lavoro, a quell'articolo 18 che il premier dice «non è un tabù» e che tratta con estremo pragmatismo perché «può essere pernicioso per lo sviluppo in certi contesti e abbastanza accettabile in altri contesti». Dunque, concretezza in quel dialogo con i sindacati che deve avere i tempi di «un'Italia europea». Ma la novità di Monti non è il messaggio che manda ai sindacati o alle imprese. No, è il messaggio che invia ai giovani. «L'idea di un posto fisso per tutta la vita? Che monotonia!». E ancora: «I giovani dovranno abituarsi all'idea che non l'avranno». C'è da scommettere che su questa «monotonia» si scateneranno le polemiche anche perché lui così scavalca il linguaggio politichese e sindacalese e arriva dritto al punto mettendo in discussione tutto un modo di ragionare che forse già non appartiene più alle giovani generazioni. Così come afferra il centro della trattativa in corso: «Ridurre il terribile apartheid che esiste nel mercato del lavoro tra chi è già dentro e chi fa fatica a entrare o entra in condizioni precarie».
Intanto è già andato il pacchetto liberalizzazioni e anche se gli preferisce la parola «concorrenza» il premier fa sapere di aver sfidato i poteri forti «toccando l'Eni» e giustifica poi l'aumento della benzina perché ha consentito di «proteggere dall'inflazione le fasce più basse delle pensioni». Molto è stato fatto in casa, molto anche fuori casa e l'altro obiettivo che Monti celebra è il ritorno del nostro Paese sulla ribalta europea grazie al quale «gli italiani stanno recuperando patriottismo». I negoziati a Bruxelles sul fiscal compact si sono appena chiusi – e proprio ieri Vittorio Grilli ha detto che «l'Italia si riconosce in quelle regole» – ma il Professore sottolinea di aver ottenuto di «non appesantire le condizioni del graduale rientro dal debito pubblico italiano» e soprattutto di aver messo agli atti che «la crescita non sarà più un omaggio verbale ma il cuore della politica europea dei prossimi mesi». Dunque, forse ci saranno meno diktat e rigidità sulla strada che va da Berlino a Bruxelles anche se lui dice di non sognarsi di «bacchettare la Merkel». La domanda però resta. Perché il rigore finanziario e il piano di rientro dal nostro debito pubblico pesa come un macigno sulla via dello sviluppo italiano. «Sono impegni severi ma non impossibili da realizzare se saremo capaci di tornare a crescere». Ad alleggerire lo stock di debito non saranno però le privatizzazioni che sono «una delle possibilità» ma è la «valorizzazione del capitale umano» la scommessa.
Il menù del Governo include – obbligatoriamente – anche il confronto con i partiti che lo sostengono: i malumori del Pdl e invece il sostegno di Silvio Berlusconi erano i due piatti della giornata politica di ieri. «Trovo che i malumori siano normali da una parte politica che non è più al governo ma trovo che l'appoggio di Berlusconi sia fondamentale – come quello del Pd e Terzo polo – ma venendo da chi era premier è particolarmente significativo anche perché dà un senso di continuità». Il problema è la strada ancora da fare e le aspettative che i mercati e l'Europa non smettono di avere sull'Italia. Il premier fa notare come i rendimenti sui titoli a breve scadenza siano scesi «proprio perché sono rimasti ben impressionati dal lavoro del Governo mentre ci si interroga su cosa accadrà dopo visto che a primavera 2013 non ci saremo più noi». Ecco, resta lo spread sui titoli a lungo termine perché «gli osservatori si interrogano su quello che succederà più avanti».
È «scontato» che lui alle prossime elezioni non ci sarà. «Sarò ancora vivo, spero, ma senza le responsabilità attuali». E anche se il suo Governo che starà alla larga da «legge elettorale e dalle questioni etiche» è pronto a offrire una "parentesi" ai partiti per ritrovare un'armonia che sarebbe «rasserenante» per i mercati. Ricorda, infine, che fu grazie a Berlusconi che nel '94 si avvicinò alla cosa pubblica perché lo nominò commissario europeo preferendo quell'incarico a «un posto nel cda Rai». Guarda caso proprio la Rai, prossima spinosa questione da risolvere.
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