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Questo articolo è stato pubblicato il 03 febbraio 2012 alle ore 06:38.

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ROMA
Giudice del lavoro che vai, sentenze differenti che trovi. La Corte d'appello di Campobasso ha ritenuto illegittimo un licenziamento per minacce di morte a un superiore. Mentre i magistrati di secondo grado di Milano hanno considerato la stessa fattispecie giusta causa di recesso del rapporto d'impiego. Due pesi e due misure anche nel 2009 al Tribunale di Avellino. Due cause di licenziamento di dipendenti che avevano utilizzato la linea aziendale per ricaricare la propria tessera telefonica sono state giudicate esattamente all'opposto. In un caso, è stato obbligata l'azienda alla reintegra del lavoratore. Mentre nella Sezione accanto a soccombere è stato il lavoratore (a cui è stata confermata la bontà del licenziamento). E nel giro di due mesi ha cambiato idea pure la Corte di Cassazione (Sezione Lavoro). Giudicando sulla legittimità di due licenziamenti per furti e appropriazioni di modico valore sul luogo di lavoro, a novembre 2011, gli ermellini hanno dato ragione all'azienda. Salvo poi cambiare idea (e accogliere il ricorso di un altro lavoratore sulla medesima fattispecie), in una pronuncia del 31 gennaio 2012.
«La discrezionalità dei giudici nella valutazione dei motivi di licenziamento è cresciuta con il passare degli anni», ha sottolineato Giacinto Favalli giuslavorista di Milano. «Nel periodo dei pretori d'assalto e fino alla metà anni degli '80 la magistratura era in genere più severa nei confronti delle aziende». A Milano per esempio appena il 10% di giudizi sul licenziamento si risolveva a favore delle imprese. Oggi la percentuale è salita e si stima intorno al 35 per cento.
In genere nelle controversie per licenziamenti individuali i magistrati tendono a considerare un pò di più anche le ragioni dell'azienda. In quelli collettivi invece c'è una maggiore attenzione nei confronti dei lavoratori che perdono il posto. «Secondo le statistiche del nostro studio legale - ha aggiunto Favalli - abbiamo registrato più licenziamenti annullati nelle Corti d'appello di Torino, Brescia, Firenze e Venezia. Giudizi più equilibrati ci sono stati nella Corte d'appello dell'Aquila».
Ma più si scende l'Italia più fioccano le condanne per le aziende. «Tendenzialmente al Centro-Sud c'è una maggiore propensione a ritenere illegittimo il licenziamento perché i giudici tengono conto anche del fatto che in queste Regioni il lavoro si trova con difficoltà», ha detto Raffaele De Luca Tamajo, ordinario di diritto del lavoro all'università di Napoli.
Nella Capitale le cause di licenziamento risolte a favore dei lavoratori si stimano intorno al 65 per cento. A Bergamo siamo al 70 per cento. Una peculiarità di questo tipo di controversie, ha evidenziato Stefano Salvato giuslavorista di Roma, è che raramente il giudice anche quando rigetta il ricorso accolla al lavoratore le spese processuali. «C'è stata però a Roma una significativa eccezione - ha aggiunto Salvato - di un contratto a termine cioè in cui il giudice ha annullato il termine e di conseguenza l'intero contratto. In questo caso il lavoratore non solo non ha avuto la conversione a tempo indeterminato del rapporto. Ma ha dovuto pagare più di 3mila euro di spese processuali».

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