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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2012 alle ore 12:41.

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Truppe italiane all'offensiva in tutta la provincia di Farah con l'obiettivo di ripulire le strade dalla minaccia talebana che da quelle parti si manifesta quasi ogni giorno con attentati dinamitardi, imboscate e attacchi con razzi e mortai. Il comando alleato di Herat, il Regional Command West hguidato dal generale Luciano Portolano, l'ha chiamata Operazione Copperhead e ha messo in campo oltre la metà delle quattro task force da combattimento italiane schierate nell'Afghanistan Occidentale.

La "battaglia delle strade" viene combattuta ormai da anni dalle truppe alleate e dai reparti afghani con l'obiettivo di rendere sicure le vie di comunicazione che uniscono Bala Buluk a Farah City, quest'ultima a Bakwa e al distretto orientale del Gulistan e il tratto di Ring Road (l'arteria che attraversa gran parte del Paese) che da Bala Buluk conduce a Delaram e alla confinante provincia di Helmand. Un triangolo che ha sempre visto intensi scontri tra forze alleate e insorti.

Questa volta però le forze messe in campo dagli italiani sono di un'entità senza precedenti: a giudicare dai reparti impegnati almeno un migliaio di militari italiani più altrettanti afghani. Il 152° reggimento " Sassari" (Task Force South) manovra con un paio di "kandak" (battaglioni afghano) affiancati da consiglieri militari italiani per snidare gli insorti a nord di Farah City rinforzato lungo la Ring Road dai blindati pesanti Freccia dell'82° reggimento fatti affluire da Shindand dove ha sede la Task force Center guidata dai fanti aeromobili del 66°reggimento. Più a est, nel settore più caldo assegnato alle truppe italiane, i fanti di Marina del "San Marco" hanno più difficoltà ad allargare l'area delle operazioni intorno alle loro basi situate in pieno territorio ostile.

Si tratta dei distretti di Bakwa e Gulistan, infestati da insorti e milizie narcos che proteggono le vaste coltivazioni di oppio e dove la presenza di truppe e agenti di polizia afghani e poco più che simbolica anche per la difficoltà di rifornire i reparti lungo l'unica strada, la 522, esposta alle imboscate e piena di ordigni improvvisati. Qui gli italiani sono arrivati solo nel settembre 2010 e da allora è in questo settore che il nostro contingente ha registrato le perdite più elevate. Non è un caso che la risposta talebana alla vasta offensiva italiana si sia verificata qui, dove gli insorti sono più forti e mantengono un buon controllo del territorio

Nel pomeriggio del 2 febbraio hanno attaccato il Combat Out Post "Snow", l'estremo avamposto italiano situato a Buji presidiato da alcune decine di marines del "San Marco" e già in passato teatro di numerosi attacchi. Un assalto coordinato effettuato con la copertura di mortai al quale i fanti di Marina hanno risposto con armi leggere e con i mortai pesanti da 120 millimetri. Per respingere l'attacco, che non ha provocato feriti tra gli italiani, è stato necessario anche l'intervento aereo di cacciabombardieri alleati che hanno colpito le postazioni talebane. Un compito che da pochi giorni sono autorizzati a svolgere anche i 4 cacciabombardieri italiani AMX basati a Herat. Non è la prima volta che i talebani lanciano massicci assalti al Cop "Snow" (durante uno dei quali il 31 dicembre 2010 venne ucciso il caporal maggiore degli alpini Matteo Miotto) senza dubbio la postazione italiana più esposta e pericolosa dove la guarnigione viene rifornita con gli elicotteri.

Secondo quanto riferito dal Comando di Herat durante l'operazione Copperhead si sono registrati scontri quotidiani con un numero non precisato di insorti rimasto sul terreno mentre altri sono stati catturati. Alcuni sospetti terroristi sono stati arrestati perché trovati in possesso di diverse tipologie di esplosivo, inclusi 800 chili di nitrato d'ammonio, il fertilizzante utilizzato per produrre bombe artigianali. Gli italiani hanno recuperato diversi ordigni improvvisati già pronti all'uso e di due auto-bombe, probabilmente da impiegare contro colonne o postazioni militari. L'operazione ha portato inoltre al recupero di ingenti somme di denaro in valuta pakistana, di mezza tonnellata di oppio e 80 chili di eroina e hashish, a conferma dello stretto legame che lega l'attività dei narcos e degli insorti.

Sempre nella provincia di Farah una ventina di miliziani ha invece consegnato le armi aderendo al programma governativo di reintegrazione che negli ultimi due mesi ha coinvolto oltre 350 insorti in tutto l'Ovest afghano. L'operazione Copperhead è scattata in concomitanza con il completamento della seconda fase della "transizione" nel settore sotto comando italiano che dal novembre scorso ha visto le forze di sicurezza afghane assumere la responsabilità della sicurezza di due distretti della provincia di Badghis e della quasi totalità di quella di Herat, 13 distretti su 16, ad eccezione di Shindand, Obeh e Chisht-e Sharif che restano sotto il controllo italiano.

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