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Questo articolo è stato pubblicato il 07 febbraio 2012 alle ore 06:38.

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Irritati per lo schiaffo ricevuto da Cina e Russia, che hanno bloccato con il veto la risoluzione di condanna alla Siria votata al Consiglio di sicurezza dell'Onu, e impotenti davanti all'inasprimento della repressione da parte del regime - anche ieri ci sono state 50 vittime - gli Stati Uniti hanno deciso ieri di chiudere l'ambasciata a Damasco. Una mossa che probabilmente sarà seguita a breve da altri Paesi.
Poche ore dopo, infatti, il Governo di Londra ha richiamato l'ambasciatore a Damasco per consultazioni, convocando al contempo al Foreign Office l'ambasciatore siriano. Dopo aver precisato che Londra sta cercando di allargare la coalizione internazionale per le sanzioni contro la Siria, il ministro degli Esteri, William Hague, ha definito «un grave errore» il veto di Cina e Russia. La conferma che la crisi diplomatica si sta inasprendo arriva anche dal ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi. Il quale ha reso noto che i Paesi dell'Unione europea stanno valutando la possibilità di espellere i rappresentanti diplomatici siriani, ed eventualmente ritirare i propri ambasciatori da Damasco. Anche Terzi ha criticato il veto di Cina e Russia: «È estremamente sgradevole, per usare un eufemismo».
La motivazione della chiusura dell'ambasciata, a quanto reso noto dal Dipartimento di Stato Usa, sarebbe il deterioramento delle condizioni di sicurezza, che ha richiesto l'evacuazione del personale. Ma la mossa di ieri somiglia anche a un ultimo avvertimento da parte dei Paesi che chiedono le dimissioni del presidente siriano Bashar al-Assad.
Settimana dopo settimana, la più lunga delle rivolte arabe sta scivolando verso una guerra civile dalle conseguenze imprevedibili. I Paesi occidentali, tuttavia, non intendono dare il via a una missione militare internazionale. Lo ha confermato ieri il presidente americano Barack Obama: «È importante risolvere la situazione senza fare ricorso a un intervento militare e io credo che ciò sia possibile». I costi sarebbero davvero alti, in un periodo, peraltro, in cui ogni Governo sta riducendo le spese militari e le missioni all'estero. Ciò che contraddistingue la crisi siriana, poi, è il pericoloso vuoto di potere che seguirebbe l'eventuale caduta di Assad. La Siria, Paese ora governato dalla minoranza alawita ma a grande maggioranza sunnita, è un calderone multietnico e multiconfessionale. Difficile prevedere chi ne prenderà il posto. Il ministro degli Esteri russo, Serghej Lavrov, atteso oggi a a Damasco, potrebbe anche considerare il tentativo di arrivare a un cambio di Governo «pilotato» sulla falsariga di quanto accaduto in Yemen. Che consenta così alla Russia di salvare il suo ultimo alleato in Medio Oriente. Prima che sia troppo tardi. Perché quella promessa arrivata ieri da Washington - «raddoppiare gli sforzi» per costringere il presidente siriano a lasciare il potere - potrebbe tradursi in un tacito assenso alla consegna di armi all'opposizione siriana. Mese dopo mese sempre più disertori si uniscono ai rivoltosi. E già da alcune settimane riceverebbero armi, non pesanti, attraverso il confine con il Libano.
Forte del veto di Cina e Russia, il regime siriano sta sferrando l'offensiva più pesante da 11 mesi contro la città di Homs, epicentro della rivolta. L'esercito ha bombardato diversi quartieri sin dall'alba. Il bilancio sarebbe di 50 morti, secondo quanto denuncia l'Osservatorio siriano per i diritti. Centinaia di blindati, inoltre, hanno preso d'assalto la città di Zabadani, a Nordovest di Damasco. Allarmata che la crisi possa estendersi nella regione del Golfo, la monarchia saudita ha chiesto ieri «misure decisive» per fermare «lo spargimento di sangue in Siria». Per Riad si rischia una «catastrofe umanitaria»
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LA DECISIONE

Cambio di regime
La risoluzione di condanna della Siria, che sabato al Consiglio di sicurezza dell'Onu è stata approvata da 13 Paesi ricevendo però il veto di Russia e Cina, chiedeva al presidente siriano Bashar Assad di farsi da parte. Un cambio di regime che, agli occhi dei russi, preclude la possibilità di lavorare con gli esponenti del Governo di Damasco - militari e politici - disposti a trovare una via d'uscita. La bozza di risoluzione aveva accolto una richiesta della Lega araba, invocando «una transizione politica, guidata da siriani, verso un sistema politico democratico e pluralista»
L'alleato di Mosca
Fin dai tempi dell'Urss, la Siria è stata il principale alleato di Mosca in Medio Oriente, acquirente delle armi russe e disponibile a concedere l'uso
del porto di Tartus per la Marina russa

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