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Questo articolo è stato pubblicato il 09 febbraio 2012 alle ore 06:40.

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Mille miliardi. È un record, realizzato in un anno non facile: le esportazioni della Germania, nel 2011 non hanno soltanto superato i livelli precrisi, ma si sono concesse anche di superare una soglia "simbolica".
Le buone notizie, però, finiscono qui, come hanno notato diversi analisti. Perché il 2011 è andato, ed è finito con una forte frenata delle vendite all'estero che segnala l'arrivo imprevisto di qualche problema. A dicembre, le esportazioni sono calate del 4,3% mensile in termini nominali e del 4,7% in volumi. È un andamento un po' deludente che non si limita all'ultimo mese dell'anno. Nell'intero quarto trimestre - sottolinea Greg Fuzesi di JPMorgan – l'export è calato a un ritmo annualizzato del 4,3% trimestrale in termini nominali e del 5,6% in termini annuali.
È il segnale che qualcosa non va, sia nell'economia tedesca, sia nella domanda globale. La Germania potrebbe però far finta di nulla, quando arriveranno i prossimi dati sul Prodotto interno lordo. La contemporanea flessione delle importazioni (-4,5% a dicembre, -12,9% annualizzato nel quarto trimestre) farà in modo che il commercio con l'estero – aggiunge Fuzesi –- spingerà il Pil di almeno 0,5 punti percentuali (due punti annualizzati). Non solo, ma la frenata dell'export spingerà le scorte nel primo trimestre, con un contributo positivo anche nel primo trimestre 2012.
Un andamento complessivamente non cattivo degli altri fattori di crescita impedirà alla Germania di preoccuparsi troppo. I dati sulla crescita dell'ultimo trimestre potrebbero non evitare il segno meno, ma il peggio potrebbe essere già passato. È vero, spiega alla Reuters Andreas Scheuerle di Dekabank, che «la caduta dell'import mostra che la domanda domestica è stata debole»; ma, aggiunge Christian Schultz di Berenberg Bank, «tutti i segnali puntano ora a una ripresa: importanti indicatori come l'indice Ifo sul clima nelle aziende e la fiducia dei consumatori sono chiaramente su un trend positivo, e la crisi dell'euro si è calmata, almeno sui mercati finanziari». Con la primavera, al più tardi, tornerà insomma anche la crescita.
Un po' più preoccupante, allora, può essere il quadro un po' appannato della domanda estera. Sulla Germania pesa la crisi di Eurolandia, e non poteva essere altrimenti. Mancano ancora i dettagli, che saranno pubblicati in futuro, ma fino a novembre sono state le esportazioni verso l'Unione monetaria a mancare all'appello: sono calate del 10% trimestrale annualizzato, mentre sono aumentate, del 20%, quelle verso Usa e Asia.
Il segnale è inequivocabile, e potrebbe aumentare le tensioni tra i Paesi europei. La Germania ha, verso molti di loro, un surplus strutturale che - da un punto di vista macroeconomico - è stato ricondotto a diversi fattori, e in particolare a una moderazione salariale "imposta" (non di mercati) che ha tenuto le retribuzioni molto al di sotto dei guadagni di produttività. Da qui la richiesta - parallela a quella avanzata dagli Usa alla Cina - di aumentare la domanda interna per stimolare le importazioni. In realtà i successi dell'industria tedesca non si possono ricondurre solo al costo del lavoro (che pure ha contribuito), né è detto che un aumento della domanda interna possa tramutarsi in una domanda di prodotti - non sempre competitivi - di altri Paesi di Eurolandia e non, per esempio, in inflazione.
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