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Questo articolo è stato pubblicato il 10 febbraio 2012 alle ore 07:59.

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Un busto di Martin Luther King dietro la poltrona di Mario Monti, quello di Abraham Lincoln dietro la poltrona di Barack Obama, un caminetto e un quadro di George Washington sullo sfondo.

Quando ieri li abbiamo visti seduti insieme nell'Ufficio Ovale della Casa Bianca, si è capito che la prima visita di Mario Monti alla Casa Bianca non ha prodotto solo una buona alchimia fra due leader che si intendono per carattere e per vocazione intellettuale. Dai gesti, dalle parole, dal tono del dialogo, direttamente in inglese, dalla comunanza di lingua e linguaggio, l'incontro di ieri alla Casa Bianca fra Monti e Obama ha prodotto un "patto per la crescita". E l'impegno a lavorare insieme alla costruzione di un muro tagliafuoco per stabilizzare la crisi finanziaria. Così tra espressioni decise per la trasformazione del nostro Paese e la pacatezza del loro rapporto, ieri si è aperta un'epoca nuova nel rapporto fra Washington e Roma con una novità importante: dopo anni di reticenze e sospetti l'America di Obama ha deciso di investire nel futuro italiano. E Time Magazine gli ha persino dedicato la copertina.

Un investimento tangibile non solo nelle parole di apprezzamento per l'azione del Governo o di stima per l'operato del Presidente del Consiglio, ma nell'impegno da parte americana: «Ad aiutare a stabilizzare la crisi...appoggerò il governo Monti» ha detto Obama. Monti aveva auspicato di poter ricevere un aiuto concreto da parte di Obama. Ce lo aveva detto prima dell'incontro. Aveva ricordato come la Merkel gli avesse chiesto poco tempo fa cosa potesse fare per aiutarlo. «Spero di poter avere la stessa offerta da Obama» aveva detto Monti. E Obama dunque, ha "delivered". «L'incontro è andato al di là delle migliori previsioni - ci ha detto una fonte che ha partecipato agli incontri -. C'era una forte intesa sui temi più urgenti e sui percorsi da seguire».

L'epoca nuova nel rapporto fra Usa e Italia va dunque ben al di là dell'arrivo a Washington del capo di un nuovo governo italiano. Monti ha ricordato al fianco di Obama come la sua missione sarà di «una durata limitata e definita nel tempo». Ma ha disegnato il bivio che si apre davanti al nostro Paese: la vera sfida diventa ora quella di rendere "illimitata" nel tempo la trasformazione italiana. Per convicere Obama della irreversibilità del nostro percorso, Monti ha spiegato a Obama che l'azione italiana parte già con il governo Berlusconi. Gli ha detto che gli italiani sono pronti a seguire. Ha illustrato le esigenze e il ruolo importante della Germania, con la sua cultura «per la stabilizzazione e per il rigore utilissima all'Europa». Una cultura che deve trovare il modo per convergere e non divergere da quella americana e anglosassone per i principi keynesiani.

Monti insomma ha concretizzato quel ruolo di ponte che ci si aspettava potesse svolgere fra Washington e Berlino, e, proprio come aveva previsto Charles Kupchan su queste pagine, «ha rimesso l'Italia in gioco». L'ecumenismo "intelligente" di Monti non ha riguardato solo l'inclusione di Berlusconi sul palcoscenico americano di cui è stato protagonista politico, o la compresione delle «strategie per il mercato sociale della Germania». Monti ha spiegato a Obama che gli italiani individualmente soffrono delle varie misure e di molti cambiamenti per la liberalizzazione ma «nel loro insieme sono contenti di essere governati nella direzione giusta...». E ha chiuso con un omaggio ai sindacati «anche loro parte integrante di questo sforzo». È stato per questo quadro di insieme, obiettivamente nuovo, trasversale a livello interno e a livello europeo che ha convinto Barack Obama ad investire capitale politico nel futuro del governo Monti.

«È tipico del pragmatismo americano cercare risultati e una metodologia adeguata per ottenerli. Il pregio di Monti vis a vis l'America è quello di aver detto cosa avrebbe fatto e di aver fatto quel che ha promesso. Da qui non si può tornare indietro», ha osservato Paolo Scaroni, l'amministratore delegato dell'Eni che ha partecipato a uno degli incontri di ieri mattina di Monti con la comunità economica americana al PIIE. Lo stesso vale per Sergio Marchionne anche lui agli incontri: «L'America dà fiducia all'azione di Monti, è una fiducia ben riposta».

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