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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2012 alle ore 08:15.

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Su una cosa tutti convergono: il Governo Monti sarà uno spartiacque per i partiti e li costringerà a un profondo rinnovamento prima di ripresentarsi davanti agli elettori.

Ma i successi di Monti come garante della credibilità italiana – in ultimo "l'abbraccio" di Obama – comincia a mettere i partiti davanti a un nuovo interrogativo: se tra un anno la situazione internazionale sarà tale da rendere pressocché inevitabile un nuovo mandato per l'attuale premier, che scelte fare? Qui le risposte sono ancora tutte da costruire.
Il vicepresidente dei senatori del Pdl, Gaetano Quagliariello, va dritto al punto. «La politica deve muoversi per evitare il rischio più acuto: cioè che, alla fine della legislatura, l'Esecutivo dimostri di aver fatto il necessario e i partiti siano rimasti inerti. Non bisogna vivere questa esperienza come una minaccia o con una sensazione di impotenza perché così disorienteremmo i nostri elettori, ma occorre considerarla una opportunità facendo sentire il peso parlamentare dei partiti». Il tempo che manca alla prossima tornata elettorale, ammette Quagliariello, «è infinito e le forze politiche devono profilarsi meglio chiarendo innanzitutto le alleanze, che sono ora incerte, e sapendo che la loro evoluzione dipenderà anche dal confronto con l'Esecutivo».

Troppo presto, però, per immaginare coalizioni e candidati, ma lo schema della "grosse Koalition", che sostiene il Governo, non sembra destinato a durare. Se dunque Monti o qualcuno dei suoi ministri deciderà di scendere in campo dovrà misurarsi con l'agone elettorale. «Nel 2013 non ci sarà nessun Governissimo», ha ribadito nei giorni scorsi il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, sgombrando il campo da una possibile riedizione dell'asse Pdl-Pd-Terzo polo. Certo i ragionamenti sul futuro del premier – che, da par suo, ha sempre negato di volersi ricandidare – non mancano nei conciliaboli democratici, ma tutto sembra legato al "gong" delle riforme. «I partiti – è il ragionamento che circola nelle fila del Pd – devono giocare e vincere quest'ultima sfida altrimenti serviranno trenta Monti, non uno solo».

Se dunque Pdl e Pd restano prudenti sui futuri scenari, il discorso cambia radicalmente in casa dei centristi. Tanto che ieri il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini, ha gettato il cuore oltre l'ostacolo spronando i suoi partner «a non fermarsi al Terzo polo, a costruire un partito degli italiani, un partito della responsabilità che si intesti quello che è successo nel Paese», e ne raccolga i frutti in termini di consensi elettorali. Roberto Rao, braccio destro di Casini, decodifica così il progetto centrista. «Più che un Monti che si ricandida potrebbe essere lui ricandidato dagli altri alla luce dei risultati che sta conseguendo tenendo conto della necessità di completare il percorso e del fatto che solo sul suo nome si può raggiungere l'accordo ampio che sta producendo questa maggioranza».

Francesco Rutelli, leader del l'Api, tratteggia anche un timing. «Questo Governo non è nato per fare una manovra, ma è una esperienza destinata a durare per questa e almeno per una parte importante della prossima legislatura». I motivi sono chiari e l'ex sindaco di Roma li mette in fila. «Monti ha uno standing e una capacità di interlocuzione perfetta rispetto agli impegni che esige un tavolo globale». Ma l'attività del suo Governo «è politica», «come politici sono i soggetti che ne fanno parte».
Insomma, l'esperienza dell'esecutivo produrrà un cambio di pelle dei partiti e li metterà davanti a una responsabilità importante. «La decisione finale sulla corsa del 2013 – osserva il capogruppo di Fli alla Camera, Benedetto Della Vedova – spetterà a Monti, ma noi dobbiamo lavorare affinché questo tipo di politica abbia un futuro comunque declinato e qualunque ne sia il protagonista».
Nessuno, dunque, fa apertamente il nome del premier e tutti, prima o poi ricordano, le parole del professore che finora ha sempre escluso un prosieguo della sua esperienza.

Ma è evidente che uno scenario con Monti ancora in prima linea è entrato stabilmente nelle riflessioni che si fanno nei partiti. Anche presso quelli che hanno deciso di schierarsi all'opposizione. «Al di là del nostro atteggiamento in Parlamento, Monti è una risorsa per il Paese», ammette Antonio Di Pietro. Che intravvede per il premier un domicilio diverso nel 2013: non Palazzo Chigi ma il Quirinale. «Le strette di mano con Napolitano indicano quella strada. Ma sono convinto che anche molti dei ministri dell'Esecutivo non si fermeranno il giorno dopo la fine del mandato». Una convinzione che anima anche la Lega: «Che Monti o qualcuno dei suoi possa restare sulla scena - dicono dalle parti di Via Bellerio - non viene escluso». Anche se, secondo il Carroccio, il vero banco di prova per il Governo sarà a giugno quando cominceranno a farsi sentire gli effetti della manovra di Natale. «Time non decide le candidature - ricorda più di qualche leghista - e nemmeno i voti».

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