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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2012 alle ore 08:11.

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E se alla fine Angela Merkel riuscisse perfino a salvare Nicolas Sarkozy a dispetto dei santi, di sondaggi che invece lo vogliono perdente? Problema di lor signori, si potrebbe dire. Invece, visti anche i tanti precedenti intrusivi già accumulati, la vicenda è anche e ancora di più un problema europeo. Di meccanica democratica ai tempi della crisi infinita dell'euro. Che ha già travolto 6 dei 17 Governi dell'area.

Per evitare di veder cadere il settimo, il cancelliere tedesco ha rilanciato di prepotenza "Merkozy", facendosi grande elettore del presidente francese: non nelle segrete stanze del potere ma con un impegno pubblico forte e trasparente. «Sostengo la sua candidatura con ogni mezzo, indipendentemente da quello che fa» ha dichiarato chiaro ai francesi dalle tribune televisive.

Subito sono partite le scommesse: asso nella manica o bacio della morte l'attivismo di Angela a fianco del presidente in difficoltà, incalzato dal socialista François Hollande, nemico dichiarato del "fiscal compact" che vuole rinegoziare?

Quando con l'arrivo dell'euro si accetta tutti insieme di cedere prima le leve nazionali della moneta e dell'inflazione e poi ora anche quelle di bilanci e spesa pubblica, welfare, pensioni, produttività e mercato del lavoro a colpi di "fiscal compact", riforme strutturali e macro-economia sempre più integrata, è inevitabile che anche le incursioni politico-elettoralistiche nella vita e nelle democrazie dei partner tendano ad allargarsi. A consustanziarsi nel nuovo modello di convivenza tra Stati che, volenti o nolenti, si "snazionalizza" per farsi a sua volta sempre più europeo. O tedesco? Qui sta il punto. Merkel prima favorisce e benedice senza remore le svolte di Governo tecnocratiche in Grecia e Italia. Ora scopre all'improvviso prorompenti affinità elettive con Sarkozy tanto da spendersi per la sua riconferma all'Eliseo.

Più che per lui (o altrove per altri) il cancelliere in realtà si batte per la tenuta della propria politica di stabilizzazione dell'euro. E per la propria rielezione nel 2013. Sa infatti che l'arrivo del socialista Hollande a Parigi rischia di far saltare entrambe.

La partita dell'Eliseo diventa così, senza veli, funzione degli interessi nazionali tedeschi. Merkel non ne fa mistero. Anzi. Pur di condizionarne il risultato, corre il rischio di risvegliare i mai sopiti sentimenti anti-tedeschi dei francesi, di spaccarne il dibattito elettorale tra una destra che viene così etichettata come filo-germanica e una sinistra agli antipodi. Il tutto nonostante i possibili effetti boomerang della manovra. Che, a quel punto, potrebbero rivelarsi devastanti per l'Europa intera.

Non sono, questi, tempi facili per nessuno, tra recessione, disoccupati in aumento e lo spietato rigore tedesco che tende ad esasperare entrambi. Messa in croce per i suoi peccati, la Grecia ne è l'esempio eclatante. Ma non è il solo. Finora relativamente risparmiata dai morsi dell'austerità ma umiliata dalla perdita della Tripla A e dall'emorragia di competitività rispetto alla Germania, la Francia sa che dopo le presidenziali verrà il suo turno di stringere la cinghia. Con la Merkel ostentatamente in campo, la tentazione di punire il "collaborazionista" Sarkozy premiando il "ribelle" Hollande potrebbe diventare irresistibile. Sarebbe un disastro per l'euro la cui stabilità è un indiscutibile interesse europeo. Non solo tedesco.

Peccato che nell'ultimo triennio la Germania abbia fatto di tutto per dimostrare il contrario. E continui imperturbabile a farlo. Imponendo accordi intergovernativi con espropri di sovranità nazionali. Indebolendo le istituzioni europee che invece sono il garante dell'interesse comune condiviso. Contrabbandando la propria visione politico-economico-ideologica come fosse il verbo rivelato. Indifferente all'esasperazione che per questo le cresce intorno. Dovunque.

In definitiva dimenticando che un conto è arrendersi all'"amministrazione controllata" dell'Europa intesa come mediazione e sintesi tra i diversi interessi nazionali in gioco, tra le esigenze del rigore e quelle di crescita e solidarietà.

Un altro conto è alzare le mani di fronte al diktat di un solo Paese che, in nome del proprio esclusivo interesse nazional-elettorale, pretende di irrompere nelle dinamiche politiche interne dei partner facendo e disfacendo le sorti dei loro Governi, democrazie, modelli di società e di sviluppo. Per questa strada invece di promuovere un salto di integrazione a tutti i livelli, cioè il complemento logico e necessario a tenuta e credibilità nel tempo dell'euro, la Germania rischia, magari senza accorgersene, di favorirne la disintegrazione. Già pochi popoli Ue sposano con convinzione l'identità europea. Figuriamoci se finisse per diventare tutta tedesca.

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