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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2012 alle ore 06:42.

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ROMA
Dopo una serie di rinvii – l'ultimo per l'emergenza neve – oggi la Corte costituzionale discute in udienza pubblica il conflitto-Ruby, sollevato dalla Camera contro la Procura e il Gip di Milano "colpevoli" di non aver trasferito al Tribunale dei ministri gli atti del procedimento in cui il premier è imputato di concussione e prostituzione minorile. A luglio il conflitto fu dichiarato «ammissibile», ma ora la Corte deve entrare nel merito del ricorso. E stando ai boatos di palazzo della Consulta, già rimbalzati nei palazzi della politica, il verdetto dovrebbe essere sfavorevole alla Camera. Un no di stretta misura, maturato negli incontri precedenti all'udienza da cui, tra oggi e domani, dovrebbe uscire il verdetto ufficiale. Stessa sorte dovrebbe avere l'analogo conflitto di attribuzioni riguardante l'ex ministro della Giustizia Clemente Mastella, sollevato dal Senato contro la Procura e il Tribunale di Napoli: sia pure con qualche diversa sfumatura, anche lì si contesta ai magistrati di aver «violato l'obbligo» di trasmettere gli atti al Tribunale dei ministri, impedendo alla Camera di appartenenza di esprimere la propria valutazione sulla natura del reato, menomando quindi le attribuzioni del Parlamento.
L'attesa decisione arriva mentre è in pieno svolgimento il processo-Ruby davanti al Tribunale di Milano. Ieri è stato ascoltato l'agente di polizia Ermes Cafaro, che il 27 maggio 2010 fermò Karima El Mahroug, detta Ruby, su corso Buenos Aires e la portò in Questura, dove poi fu rilasciata, secondo la Procura, grazie alle telefonate e alle pressioni di Berlusconi. Il poliziotto ha riferito che Ruby gli raccontò delle «avances sessuali» ricevute dall'ex premier, di «una busta con 15mila euro» consegnatale dal caposcorta del Cavaliere, del suo sogno di «fare il carabiniere» e che «Silvio» l'avrebbe aiutata perché gli aveva raccontato di essere «la nipote di Mubarak» e non sapeva che fosse minorenne.
Se le indiscrezioni sulla Consulta saranno confermate, il dibattimento proseguirà e non dovrà ricominciare davanti al Tribunale dei ministri, come vorrebbe la Camera. Che leva su una sentenza della Corte riguardante l'ex ministro Altero Matteoli (n. 241/2010 scritta dal giudice Giuseppe Frigo), dove si afferma che il Tribunale dei ministri ha l'obbligo di «comunicare» alla Camera la decisione di archiviare il procedimento anche quando l'archiviazione dipende dal fatto che il reato non ha natura ministeriale, ma «comune», e quindi è di competenza della Procura. Secondo la Camera, l'obbligo di comunicazione avrebbe carattere generale e quindi vale anche per il giudice, sebbene non sia previsto espressamente da una norma. La sentenza Matteoli è un precedente con cui la Corte si è dovuta misurare. Alcuni giudici concordano con la Camera, ma sembra che siano rimasti in minoranza. Secondo l'orientamento prevalente, infatti, la sentenza 241 non afferma un principio generale e non può essere applicato a casi diversi da quello Matteoli, quali i casi-Mastella e Ruby.
Peraltro, a marzo scorso è intervenuta un'importante sentenza della Cassazione in cui si afferma che solo il giudice ordinario può stabilire se un reato ha natura ministeriale; e una volta esclusa la ministerialità non ha alcun obbligo di informare la Camera. Pertanto, il Parlamento non può pretendere, in base a una diversa valutazione del reato, che gli atti siano trasferiti al Tribunale dei ministri. Il che non esclude che abbia il diritto di interloquire e, se non è d'accordo con il giudice, di sollevare conflitto di attribuzioni. Purché dimostri che c'è un nesso funzionale tra il comportamento contestato al ministro e le sue competenze, perché la tesi del «reato ministeriale» deve avere «una qualche consistenza». Ma su questo, nel ricorso della Camera non c'è una parola.
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