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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2012 alle ore 06:42.

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ROMA
«Le primarie hanno una loro logica. Quando si accetta che alla gare partecipino più candidati del Pd, poi se ne devono accettare gli esiti». Colpa delle divisioni, ma non drammatizzare. Il giorno dopo la débâcle del Pd alle primarie genovesi del centro-sinistra – vinte dal candidato indipendente ma sostenuto da Sel Marco Doria che ha battuto le due candidate del Pd, Marta Vincenzi e Roberta Pinotti – Pier Luigi Bersani punta l'indice contro il candidato doppio ma invita comunque a «lavorare con entusiasmo e passione per la vittoria» di Doria e del centro-sinistra a primavera. Il segretario democratico lancia poi una mini-riforma o regola interna: «Sarebbe una buona cosa, logica, normale, che il Pd selezionasse la sua candidatura per le primarie con una selezione interna. Questa è sempre stata la mia convinzione: in alcune situazioni varrebbe la pena di attuare un meccanismo di questo genere». Quanto poi alla responsabilità dei vertici romani per quanto accaduto a Genova, Bersani ricorda che il meccanismo delle candidature non è nelle mani del segretario nazionale, ma affidato alle federazioni locali: «Questo prevede lo statuto».
E se Bersani ammette «qualche ammaccatura», il caso Genova provoca un piccolo terremoto nel partito locale: il segretario regionale Lorenzo Basso e quello provinciale Victor Rasetto rimettono il proprio mandato alle assemblee provinciale e regionale che si svolgeranno mercoledì e giovedì prossimi «per consentire una discussione politica vera». Duro sfogo, invece, da parte del sindaco uscente Marta Vincenzi, che attacca il Pd per non averle confermato la fiducia e gli intellettuali borghesi per aver dato (questa l'accusa) il loro voto al candidato vendoliano. Il sindaco è arrivata a paragonarsi a Ipazia, la matematica e filosofa di Alessandria d'Egitto uccisa nel V secolo da una folla di cristiani in tumulto: «A Ipazia è andata peggio. Oggi le donne riescono a non farsi uccidere quando perdono ma ci mettono secoli a far riconoscere il valore della propria intelligenza».
Il più soddisfatto è naturalmente Nichi Vendola, che dichiara ecumenico: «Non ha vinto un partito, bensì una domanda di rinnovamento». E ora il leader di Sel e governatore della Puglia guarda agli altri appuntamenti: in primis Palermo, dove eccezionalmente Pd, Sel e Idv hanno puntato tutti su Rita Borsellino. Ma il popolo del centro-sinistra si misurerà con le primarie anche all'Aquila: in lizza il sindaco uscente Massimo Cialente, sostenuto da Pd, Psi e Comunisti italiani, e il medico Vittorio Festuccia, che ha l'appoggio di Sel.
E come sempre quando il Pd viene travolto in qualche votazione per le primarie si riapre il dibattito interno sulla validità dello strumento. Pensando soprattutto alle eventuali primarie di coalizione per la scelta del candidato premier alle politiche del 2013 e quindi alla strategia per le alleanze. Chi, come Enrico Letta e i popolari, guarda all'alleanza con i centristi non vede di buon occhio le primarie di coalizione. «Si perde se ci divide», dice il vice di Bersani. Quanto alle riflessioni sullo strumento, «non si fanno il giorno dopo un insuccesso». Ma non è un mistero che Letta preferisce le primarie di partito a quelle di coalizione. Ed è un liberal veltroniano come Salvatore Vassallo a criticare il teorema che "divisi si perde": «Il rapporto tra l'elettorato del Pd (35%) e quello dei partiti alla sua sinistra (2,8%) è di 5 a 1 e perciò il problema non sta nel fatto che due candidati si siano divisi i voti del Pd». Il problema è politico, laddove per il popolo di sinistra il volto del rinnovamento non ha contorni democratici. Bersani, impegnato a sostenere il governo Monti («prima l'Italia», replica a chi chiede il congresso anticipato), è insomma preoccupato di quanto accade alla sua sinistra. E si affretta a "rassicurare": il governo Monti va considerato una parentesi, dopo servono maggioranze vere. Insomma, niente grande coalizione nel 2013 guidata ancora da Monti come proposto dall'Udc.
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