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Questo articolo è stato pubblicato il 16 febbraio 2012 alle ore 06:43.


ROMA
Dice che non desidera e non ha mai desiderato rivolgere appelli, richiami o addirittura moniti. «Io desidero solo porre dei problemi», precisa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell'aula Bachelet del Csm, dov'è riunito il plenum. Ed è quello che ha appena fatto ricordando, ad esempio, che alcune condotte dei magistrati «disorientano» i cittadini e compromettono la loro «terzietà» (esternazioni esorbitanti, mancanza di riserbo, inserimento in atti giudiziari di riferimenti a terzi estranei, assunzione inopportuna di incarichi politici e disinvolto rientro in magistratura) e che molte di queste condotte non sono previste tra quelle sanzionabili in via disciplinare e quindi sfuggono all'intervento del Csm, al quale va peraltro riconosciuta «prontezza» e «severità». C'è un vuoto normativo e va colmato per legge, dice Napolitano. Che chiama in causa Governo e Parlamento più volte: per approvare norme anticorruzione adeguate (si veda l'articolo a pag. 17), per varare «senza esitazioni» la riforma della geografia giudiziaria, «con equilibrio, ma anche con la massima fermezza», per evitare «un improprio sindacato» dei giudici amministrativi sui poteri di nomina del Csm. Fortunatamente, dirà a conclusione della seduta, il clima è cambiato e siamo usciti da quel che ci sembrava «un vicolo cieco», rimettendo «al centro» le vere priorità della giustizia, «che non c'entrano nulla con la riforma, o la grande riforma costituzionale della giustizia».
Finisce da dove aveva cominciato, Napolitano. L'atmosfera è cambiata «positivamente», si è ripartiti con il piede giusto («scelte condivise», «piena consonanza delle ragioni della crisi, delle priorità e delle riforme») e si sta andando nella giusta direzione («opportuno e realistico» che il governo si sia subito occupato del servizio giustizia e dell'emergenza carceri), senza rinunciare a una prospettiva di lungo periodo.
In mattinata, il plenum aveva archiviato – ma con un "rimprovero" destinato a pesare sulla carriera – la pratica del procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e il Capo dello Stato sembra condividere la delibera presa a maggioranza. Così come condivide la nomina, all'unanimità, di Giuseppe Pignatone alla Procura di Roma, avvenuta rapidamente e nel segno dei «parametri» a cui deve ispirarsi la scelta dei "capi": capacità professionale e organizzativa, attitudine al ruolo, autorevolezza, vocazione a motivare i magistrati dell'ufficio. Parametri che allontanano il pericolo di nomine «condizionate da logiche spartitorie e trasversali» o da rapporti di amicizia se non, addirittura, da «collegamenti politici». È anche un modo per ridurre l'enorme contenzioso davanti al giudice amministrativo, a proposito del quale il Capo dello Stato spezza più di una lancia in favore del Csm, ricordando che l'«elevatissimo potere discrezionale» riconosciuto al Csm «deve limitare e attenuare il sindacato giurisdizionale sulle sue scelte». Il riferimento è ai sempre più frequenti annullamenti, da parte del Tar o del Consiglio di Stato, delle delibere del Csm, sfociati in una sorta di "guerra istituzionale", anche con la Cassazione. Napolitano invita i giudici amministrativi a evitare un «improprio sindacato» che «lede il potere decisionale del Csm, e non esclude «appositi interventi normativi». Passaggio apprezzato dal vicepresidente Michele Vietti: «Il Consiglio difende orgogliosamente le proprie prerogative non per arroganza corporativa ma per coerenza con il ruolo istituzionale di garante dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura».
Il Presidente della Repubblica torna e ritorna, poi, sulla revisione della geografia giudiziaria che tutti – il governo precedente e l'attuale, il Csm, la magistratura, il Parlamento – considerano «indispensabile» perché l'attuale assetto «impedisce economie di scala e la specializzazione dei magistrati». Non si tratta solo di risparmiare risorse, ma anche di evitare «sprechi», dice Napolitano. Quindi: «vanno superate le vischiosità conseguenti all'esasperazione dei particolarismi che si oppongono al necessario cambiamento». «Alcuni intraprendenti parlamentari – dirà al termine della seduta – sventolano vessilli di territori che vorrebbero che si considerassero santuari. Spero siano arginati» conclude il Capo dello Stato, chiedendo a governo e Parlamento «massima attenzione ma anche massima fermezza di fronte alle resistenze».
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