Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 16 febbraio 2012 alle ore 13:53.

My24

Il precedente
La sentenza di ieri completa quanto deciso a fine novembre in un'altra causa avviata dalla stessa Sabam (causa C-70/10), quando la Corte Ue spiegò che gli internet service provider non possono essere gli "sceriffi" della rete. In quell'occasione, la Terza sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea stabilì il principio che gli Stati non possono imporre per legge ai fornitori del servizio (gli Isp) di predisporre sistemi di monitoraggio e di filtraggio permanenti al fine di rilevare gli illeciti del peer-to-peer. In quel caso, la Sabam aveva ottenuto nel 2007 dal tribunale di prima istanza di Bruxelles la condanna di una società fornitrice di servizi internet (Scarlet) a far cessare le reiterate violazioni al diritto d'autore, commesse dei suoi utenti mediante lo scambio di file peer-to-peer - vale a dire la condivisione gratuita e paritaria tra gli utenti di musica, video, film. Per ottenere lo scopo la Scarlet avrebbe dovuto installare un programma di monitoraggio e filtraggio permanente di tutti i dati erogati ai clienti, diventando di fatto uno "sceriffo della rete" a tutela di diritti altrui (di autori ed editori). Il tribunale d'appello di Bruxelles aveva deciso di sospendere il procedimento e di rimettere alla curia europea due questioni pregiudiziali: se le direttive sul commercio elettronico possano prevedere un'ingiunzione di inibitoria come quella adottata dal giudice belga nei confronti dell'Isp, profilando tutta la propria clientela 24 ore su 24; in caso affermativo, se il giudice nazionale possa applicare il principio della proporzionalità nell'adottare la misura dissuasiva richiesta agli Isp per mettere fine agli abusi dei clienti.

La Corte Ue ricordò allora che l'articolo 15 della direttiva 2000/31 «vieta alle autorità nazionali di adottare misure che impongano a un Fai (Isp, ndr) di procedere a una sorveglianza generalizzata sulle informazioni che esso trasmette sulla propria rete». Siccome le misure imposte alla Scarlet chiedevano di "schedare" tutti gli scambi peer-to-peer, identificare dentro a questi i casi di scambio di opere protette, di emarginare le ipotesi di illegalità e infine di bloccare gli illeciti, secondo la Corte si era di fronte a una «sorveglianza generalizzata», cioè a una palese violazione dell'articolo 15.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi