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Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2012 alle ore 06:53.

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ROMA
Rischia un nuovo processo Silvio Berlusconi. La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio dell'ex premier per il filone capitolino dell'inchiesta Mediatrade sulla compravendita dei diritti tv e cinematografici Mediaset che lo vede indagato per fatturazione di operazioni inesistenti e false dichiarazioni dei redditi. Il procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani e il pm Barbara Sargenti hanno chiesto di processare, per i medesimi reati, anche il figlio Piersilvio, vicepresidente di Mediaset e numero uno di Rti, il produttore Usa Frank Agrama e altre 9 persone, tra cui 7 manager del gruppo. Sulle richieste si dovrà ora pronunciare il gup Pier Luigi Balestrieri. Ma i reati per i quali si procede, che riguardano le dichiarazioni dei redditi del gruppo Fininvest del 2004 e del 2005, si prescriveranno, nel primo caso, ad aprile e, nel secondo, entro aprile 2013. Il possibile rinvio a giudizio assumerà quindi un valore simbolico, anche alla luce del proscioglimento di Berlusconi, deciso dal gup per il filone milanese, contro cui la Procura lombarda ha proposto ricorso in Cassazione. Dalle carte allegate alla richiesta di rinvio a giudizio di Roma emergono infatti elementi che potrebbero ribaltare il verdetto milanese.
Ma andiamo con ordine. Agli indagati è contestata una frode fiscale da quasi 20 milioni di euro realizzata tra il 2003 e il 2004 con l'emissione di false fatture per oltre 220 milioni. Secondo Roberto Pace, consigliere delegato Mediatrade fino al 2002, in quegli anni Berlusconi avrebbe raccomandato ai manager delle società Mediaset di confermare le relazioni d'affari con Agrama, che lamentava una flessione del fatturato con Fininvest e chiedeva che gli fossero garantiti 40 milioni di dollari l'anno, lasciando intendere di avere in mano carte compromettenti. Oltre ai Berlusconi e Agrama, rischiano il processo, tra gli altri, lo stesso Pace e Daniele Lorenzano, per i pm «uomo di fiducia di Berlusconi» per l'acquisto dei diritti tv. Gli indagati, al fine di evadere le imposte sui redditi, avrebbero comprato a prezzi gonfiati, tramite società di comodo riconducibili ad Agrama e altri intermediari, i diritti acquistati da major statunitensi come Paramount e Fox. La frode, che portava a registrare in bilancio valori in perdita, sarebbe servita ad ottenere detrazioni fiscali e a formare fondi neri.
Il gup di Milano ha giudicato tale ricostruzione non sufficiente a processare Berlusconi, accogliendo le argomentazioni della difesa, così riassumibili: l'ex premier non si occupava più di Fininvest, gli affari con Agrama riguardavano una quota marginale dei prodotti messi in onda dal Biscione, erano le major a imporre il ricorso agli intermediari. In un verbale reso come teste lo scorso 7 dicembre ai pm di Roma Giancarlo Leone, all'epoca dei fatti ad di Rai Cinema, riferisce una verità diversa. «Rai Cinema – spiega – ha sempre acquistato direttamente dalle major, senza intermediari. Erano loro a fare il prezzo e noi ci adeguavamo». Perché, si domandano i pm, le major, allora, avrebbero dovuto imporre intermediari a Mediaset? Ma Leone dice anche un'altra cosa interessante. «Storicamente – afferma – Mediaset spendeva quasi il doppio della Rai per acquistare i film. Questo perché la Rai produceva anche in proprio e perché Mediaset trasmetteva molti più prodotti. In particolare la Rai autoproduceva il 70% di ciò che mandava in onda, mentre Mediaset solo il 30%». Mediaset, ragionano i pm, ricorreva al mercato Usa per procurarsi il 70% di ciò che trasmetteva. Non è quindi vero che gli affari con le major fossero marginali. In quest'ottica assumono tutt'altra credibilità le dichiarazioni, considerate non attendibili dal gup di Milano, di Pace, che aveva parlato di un'intercessione a favore di Agrama da parte di Berlusconi. Pace aveva riferito che Lorenzano gli aveva detto di aver parlato col "dottore" (l'ex premier) e che bisognava andare incontro alle richieste di Agrama. Cosa che poi avvenne, secondo Pace, con l'intervento dell'allora presidente Fininvest, Aldo Bonomo.
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