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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2012 alle ore 10:52.
Entro tre settimane al via l'iter delle riforme costituzionali: riduzione del numero dei parlamentari (500 alla Camera e 250 in Senato), superamento del bicameralismo perfetto, più poteri al premier. Solo dopo l'approvazione in prima lettura da parte di entrambe le Camere si comincerà a mettere a fuoco la riforma della legge elettorale, sulla quale restano più punti di distanza. Quindi il destino del Porcellum sarà affrontato dopo l'estate e, quel che conta, dopo la tornata di elezioni amministrative di primavera. Questo l'accordo raggiunto nel vertice di ieri tra i leader dei tre partiti che sostengono il governo. Un passo, l'incontro, che già di per sé sembra incardinare il processo riformatore nonostante i numerosi scetticismi.
All'incontro di ieri tra Alfano, Bersani e Casini erano presenti anche alcuni degli "sherpa" (Gaetano Quagliariello e Luciano Violante in primis) che in queste settimane hanno lavorato a un testo condiviso, ormai solo da limare. Eccone i punti salienti: sfiducia costruttiva, fiducia all'esecutivo possibile solo da parte di entrambe le Camere in seduta comune, più poteri al premier con la possibilità di revocare e nominare i ministri e di chiedere lo scioglimento delle Camere (ma per ottenerlo serve il consenso del presidente della Repubblica). Inoltre un meccanismo che supera l'obbligo del doppio passaggio snellendo notevolmente l'iter legislativo: l'assegnazione delle leggi alla Camera o al Senato viene decisa dalla conferenza congiunta dei capigruppo, e una volta esaminata da un'Aula la legge è considerata approvata a meno che un terzo dei componenti dell'altra Aula non ne chieda il riesame. In ogni caso, anche il riesame deve concludersi entro un mese o la legge viene considerata approvata comunque.
Data certa, infine, per i provvedimenti presentati dall'esecutivo. I tre segretari hanno poi convenuto di modificare l'articolo 117 della Costituzione per ridurre la fascia di legislazione concorrente tra stato e Regioni: lo scopo è quello di eliminare la produzione di contenzioso alla Corte costituzionale.
Diverso il discorso sulla legge elettorale, se anche Bersani, sostenitore almeno ufficialmente della priorità alla riforma del Porcellum, ammette che sul punto «il discorso è un po' più complicato» e «c'è ancora da discutere». Il fatto è che non sono ancora chiari il quadro delle alleanze, il futuro del bipolarismo come lo abbiamo fin qui conosciuto dopo il ciclone Monti e la sopravvivenza stessa della legislatura fino alla scadenza naturale della primavera 2013. Tutte nubi che si schiariranno dopo l'estate.
Gli "sherpa" hanno trovato un punto di caduta comune su un modello che è un misto tra il tedesco e lo spagnolo (esistono proposte dei democratici Ceccanti e Vassallo e dell'azzurro Saro in tal senso): metà deputati eletti con il proporzionale con liste bloccate e metà attraverso collegi piccoli in modo da rappresentare una soglia implicita anti-frammentazione. I collegi piccoli hanno inoltre tra i loro effetti quello di dare buona rappresentanza ai partiti molto radicati sul territorio: e questo potrebbe trovare in extremis il favore della Lega Nord. Si sta anche pensando a una sorta di "premio di governo" per le due liste arrivate per prime in modo da salvaguardare il principio bipolare – come vogliono soprattutto Pdl e Pd, meno l'Udc – senza tuttavia costringere a coalizioni-ammucchiate.
C'è ad ogni modo anche una ragione tecnica per dare priorità alla riforma costituzionale rispetto alla legge elettorale: come hanno notato ieri sia Alfano sia Violante, i collegi vanno "disegnati" a seconda del numero dei parlamentari. La riforma elettorale, insomma, può attendere.
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