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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2012 alle ore 08:11.

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MILANO
Selettività. È la parola d'ordine che le banche da qualche mese ripetono agli imprenditori quando chiedono un finanziamento. A farne le spese negli ultimi mesi sono anche le aziende più sane, quelle con i conti a posto, il fatturato in crescita e ben capitalizzate: pagano i ritardi sempre più ampi con cui arrivano i pagamenti dei propri clienti. Una situazione a cui fino a poco tempo fa si faceva fronte con il "castelletto" degli anticipi sulle fatture, classico strumento di finanziamento a breve termine basato sulla cessione alla banca di crediti non scaduti senza ulteriori garanzie da parte dell'impresa. «Ora anche questo sistema non funziona più» racconta G.F., titolare di una piccola società milanese che fornisce servizi innovativi per le imprese. «Sono sommerso dai crediti. Tanti crediti. E poca cassa. Quasi tutti i clienti oggi pagano in ritardo. Una volta li sollecitavi e pagavano, adesso li solleciti e dicono che pagano appena possono. Così la banca mi ha ridotto il "castelletto" e addio anticipi». G.F. non si è arreso: ha impegnato i suoi risparmi su un conto vincolato per avere un fido per la società. Pochi giorni fa la sorpresa: la banca comunica che da marzo «in considerazione delle mutate condizioni di mercato il tasso per il fido sarà dell'8%, un punto in più. Immagino che la mia banca, come tutte, si rifornisca all'1% presso la Bce - osserva amaro l'imprenditore - ed ecco il mio spread: 700 punti base». La prende con ironia: «Forse sarebbe stato meglio fondare una banca...». O più seriamente «mettere i miei soldi direttamente nella cassa della società».
E questo è uno dei punti dolenti di questa ondata di credit crunch: la sottocapitalizzazione delle imprese più piccole che non si avverte quando l'economia gira ma che diventa un handicap insostenibile se il sistema del credito si inceppa.
La chiusura del "castelletti" è un problema particolarmente sentito da quelle imprese che hanno tra i clienti molti cattivi pagatori. Uno per tutti, la Pubblica amministrazione. È il caso di Massimiliano Zamò, della Linea Fabbrica, nel distretto della seida di Manzano (Udine): «Proprio quando bisognerebbe investire di più si rischia di restare bloccati. Ma come si fa la Pa ti paga ad un anno? Non basta puntare il dito sulle banche: anche il settore pubblico deve cambiare». E le imprese? «Gli imprenditori sono i primi a dover ripensare le proprie strutture organizzative».
«Le banche dicono di non aver chiuso i rubinetti. In realtà - sostiene Gian Luca Brambilla della eAgisco di Milano - hanno dato pura liquidità, credito per il credito, finanziando lo Stato o le grandi imprese con cui lavoriamo e che pagano in ritardo».
«È una spirale che prende dentro tutti, buoni e cattivi» denuncia Flavia Ballico della Pert Engineering che progetta e costruisce macchine per l'industria siderurgica e che vende tutto all'estero (Medio Oriente e Africa Subsahariana). «Purtroppo capita anche che qualche impresa esasperata comprometta la propria immagine con operazioni scorrette, mettendo nei guai il fornitore che porta le fatture in banca per l'anticipo...» accenna Flavia Ballico mentre è in partenza per l'Etiopia. Per non parlare di situazioni estreme come il rifiuto quasi totale delle bance italiane ad operare con paesi come l'Iran: «Ho dovuto rinunciare ad una commessa di 500mila euro, già autorizzata dal ministero, perché nessuna banca ha voluto accettare la lettera di credito».
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