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Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2012 alle ore 12:23.

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Un gruppo di talebani fotografato a Herat (Epa)Un gruppo di talebani fotografato a Herat (Epa)

I tre militari italiani morti questa mattina confermano ancora una volta che nel conflitto afghano le difficoltà ambientali possono essere letali quasi quanto i talebani. L'incidente è avvenuto 20 chilometri a sud ovest di Shindand (provincia di Herat), probabilmente sulla strada che conduce alla Zerko Valley, una delle aree meno ospitali e peggio servite sul piano delle infrastrutture dell'intero Ovest afghano.

Da quanto si è appreso il "gippone" blindato Lince da sette tonnellate sul quale viaggiavano i quattro fanti aeromobili del 66° reggimento di Forlì si è ribaltato mentre guadava il letto di un fiume ingrossato dal maltempo durante un'operazione tesa a recuperare un reparto rimasto bloccato dalle terribili condizioni meteorologiche.

Le piste polverose dell'Afghanistan, Paese dove le strade asfaltate sono limitate a buona parte della Ring Road e poche altre, diventano acquitrini fangosi quando piove o nevica e i letti dei fiumi, spesso asciutti, si trasformano in insidiosi torrenti dal fondo sconnesso. Quando possibile, per evitare il rischio sempre elevato di attentati condotti con ordigni improvvisati, le pattuglie militari si muovono fuori dalle piste, su un terreno spesso difficile ma sul quale è più difficile che gli insorti abbiamo piazzato mine e ordigni esplosivi. Al di là della guerra ogni movimento e ogni anche piccola operazione di pattuglia o logistica in Afghanistan richiede attenta pianificazione e comporta rischi elevati. Basti pensare che sulle piste della zona dove si è verificato l'incidente in estate è difficile riuscire a percorrere più di 25 chilometri in un'ora pur impiegando reparti scelti e conduttori esperti.

Il 66° reggimento fanteria aeromobile "Trieste" è uno dei migliori reggimenti fanteria dell'esercito ed è veterano dell'Afghanistan. Nell'agosto 2008 espugnò combattendo Bala Murghab, uno degli avamposti più importanti del settore italiano che negli ultimi quattro anni ha permesso di liberare dai talebani e dalle milizie di al-Qaeda una vasta area al confine con il Turkmenistan. Con i tre militari morti oggi salgono a 48 (contando anche gli uomini dei servizi segreti militari) le perdite subite dagli italiani in Afghanistan da quando, nel 2002, prese il via la missione militare nazionale. Ben 14 soldati, cioè il 30 per cento, sono morti per malori (5) e incidenti stradali (9) o legati all'impiego di mezzi e veicoli. Deli 8 caduti italiani negli ultimi in cinque mesi di operazioni invernali (le più difficili sul piano dell'impatto ambientale) nessuno è stato ucciso dai talebani. Il 16 settembre 2011 il maggiore dei carabinieri Matteo De Marco perdeva la vita per cause naturali, il 23 settembre il capitano Riccardo Bucci, il caporal maggiore Scelto Mario Frasca e il caporal maggiore Massimo Di Legge perdevano la vita in un incidente stradale vicino a Herat e il 13 gennaio 2012 il tenente colonnello Giovanni Gallo perdeva la vita per cause naturali.

Tra gli alleati percentuali comprese tra il 10 il 30 per cento dei caduti sofferti dai singoli contingenti sono da attribuire a cause diverse dal fuoco nemico. I francesi hanno avuto 82 caduti, 18 dei quali per cause diverse dal "fuoco ostile", come i 17 soldati tedeschi (su 53 caduti), i 40 britannici (398 caduti) e almeno 380 dei 1897 caduti statunitensi.

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