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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2012 alle ore 20:27.
Nel negoziato aperto sulla riforma del mercato del lavoro la posizione del Pd, in questa fase, è quella di chi vuole favorire l'accordo tra Governo e parti sociali. I democratici lo sottolinaeano a gran voce e il segretario, Pier Luigi Bersani precisa di non condividere «la tesi di andare avanti anche senza accordo. Se non ci sarà accordo - annuncia - il Pd valuterà in Parlamento quel che viene fuori sulla base delle nostre proposte». Il partito, ripetono i democratici, non è spaccato. Eppure dopo il polverone sollevato dalle parole di Walter Veltroni sull'articolo 18 ( «Non è un tabù, non bisogna fermarsi davanti ai santuari del no che hanno paralizzato l'Italia»), un nuovo caso (in senso opposto) nasce per l'annuncio di Stefano Fassina. Il responsabile economico del Pd pensa di andare «alla manifestazione della Fiom, perchè i motivi sono giusti».
Il sindacato dei metalmeccanici Cgil scenderà in piazza il 9 marzo per la vertenza Fiat e a difesa dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Le parole di Fassina secondo il senatore democratico, Stefano Ceccanti pongono «un problema serio», dato che «la piattaforma con cui è stata indetta (la manifestazione, ndr) è nettamente contraria al governo Monti». Ceccanti chiede: «La partecipazione è puramente individuale o è stata decisa in qualche organo? Come si può conciliare col sostegno forte e convinto al governo Monti, comprese le materie elencate nella piattaforma che sono quelle centrali nella sua azione?»
Stefano Fassina sostiene che c'è «un gravissimo problema di democrazia nelle aziende del gruppo Fiat». E si dice convinto che «ascoltare i lavoratori in un momento così difficile faccia parte dei compiti di un grande partito democratico». Sulla riforma del mercato del lavoro il Pd ha trovato un faticoso equilibrio. Veltroni, favorevole alla proposta di flexsecurity di Pietro Ichino, ha di fatto riaperto la questione, guardando al «riformismo» del governo Monti come modello per il Pd. Tesi che trova d'accordo anche il vicesegretario Enrico Letta. Al di là delle questioni specifiche, il Pd in questa fase rischia di dividersi tra montiani e anti-montiani, tra chi guarda all'attuale presidente del Consiglio come una necessità del momento e chi vede in lui un'opportunità.
Mette alcuni punti fermi Pier Paolo Baretta, già segretario aggiunto generale della Cisl poi, dalle elezioni del 2008, parlamentare Pd.
I democratici, sottolinea, hanno fatto «uno sforzo notevole per trovare una posizione unitaria». E richiama a una discussione «ancorata a soluzioni di merito. Non - precisa - per sfuggire al tema politico, al contrario per affermare il valore del contenuto politico delle nostre proposte». Il ragionamento costruito attorno al tema dell'articolo 18 passa, ricorda Baretta «dalla riduzione dei tempi delle cause e dalla possibilità di dare al giudice maggiori margini per il reintegro o l'indennizzo. I licenziamenti dettati da motivi economici però, anche nel caso interessino un solo lavoratore, vengono assimilati, quanto a procedure, ai regolamenti per le crisi collettive. In questo modo restano le tutele contro i licenziamenti discriminatori». Nella proposta Pd è previsto anche l'allungamento del periodo di prova in entrata (da 6 mesi a 3 anni) con la possibilità di non riconfermare il rapporto di lavoro.
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