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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2012 alle ore 06:40.

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Vincono le stellette e gli uomini della sicurezza. Ma l'operazione trasparenza sugli stipendi dei dirigenti pagati dalla pubblica amministrazione parte con molte lacune. Il capo della polizia, Antonio Manganelli, risulta il più pagato tra i grand commis dello Stato, con uno stipendio annuo di 621.253,75 euro, al lordo delle tasse, secondo l'elenco consegnato ieri al Parlamento dal ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi.
La lista è stata richiesta dalle commissioni Affari costituzionali e Lavoro della Camera, che devono dare il parere sulla bozza di decreto del presidente del Consiglio (Dpcm) nella quale si fissa il tetto degli stipendi pubblici, introdotto dal decreto salva Italia.
Al secondo posto c'è Mario Canzio, Ragioniere generale dello Stato, con 562.331,86 euro, quindi il capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, con 543.954,42. Il quarto è Vincenzo Fortunato, l'inamovibile capo di gabinetto del ministero dell'Economia, già braccio destro di Giulio Tremonti e ora confermato dal ministro ad interim, lo stesso premier Mario Monti: la sua busta paga annua è di 536.906,98 euro. Poi c'è la valanga azzurra dei militari, guidata dal capo di Stato maggiore della Difesa, il generale dell'esercito Biagio Abrate, 482.019 euro, che distanzia di un migliaio di euro i capi dell'esercito Giuseppe Valotto e della marina Bruno Branciforte. La pattuglia di generali è inframmezzata da un alto dirigente del ministero dell'Economia e Finanze, Raffaele Ferrara, direttore dei Monopoli di Stato (481.214,86).
E l'amministrazione in questo periodo è sotto accusa per la distrazione dimostrata da alcuni suoi dirigenti o ex nello scandalo delle slot machine. Una vicenda opaca nella quale sono stati condannati, oltre a dieci società del gioco, l'ex direttore dei Monopoli Giorgio Tino a pagare 4,8 milioni di euro allo Stato e il direttore dei giochi in carica, Antonio Tagliaferri, a pagare 2,6 milioni. La sentenza può essere impugnata.
Tornando alla lista di stipendi pubblici di Patroni Griffi, contiene 60 nomi, è incompleta, non è precisato a quale anno sia riferito il reddito, mancano diversi nomi e voci pesanti della busta paga. Pochi dei 60 non superano il tetto, che Patroni Griffi dice essere di 294mila euro annui: tra questi il presidente Inps Antonio Mastrapasqua, quello dell'Istat Enrico Giovannini e il dipendente dell'Agcom Antonio Perrucci (292.858,18). All'Inps però ci sono sei dirigenti che superano il tetto, dal d.g. Mauro Nori (377.214,86) a Giuseppe Baldino (306.548,79) e Daniela Becchini (296.208,91). «Mancano i cumuli», cioè gli eventuali stipendi aggiuntivi per ulteriori incarichi (il doppio lavoro dei grand commis, in sostanza), ha riconosciuto Patroni Griffi. «Non ci sono neanche i benefit, perché noi abbiamo chiesto la retribuzione da contratto», ha aggiunto il ministro, che nelle comunicazioni pubblicate due giorni fa dal governo ha dichiarato un reddito di 504mila euro (ma la scorsa settimana aveva comunicato un reddito inferiore, 205.915,54 euro, quello da ministro).
In queste parole del ministro c'è l'ammissione delle difficoltà dello Stato a rendere trasparente la sua attività e a conoscere gli stipendi di quelli che sono suoi dipendenti. Una difficoltà che dissimula le resistenze di molti dirigenti a far conoscere la loro busta paga. Per questo la classifica degli stipendi deve intendersi come provvisoria. «Era meglio cominciare, in tre giorni non avrei potuto avere di più», ha spiegato il ministro, che intende andare avanti nel censimento. Soprattutto quelli relativi ai cumuli «sono dati che – ha detto – come ministero continueremo a raccogliere, per poter applicare il tetto retributivo». Si vedrà. La strada è in salita.
Da notare la confusione intorno all'importo che costituisce il tetto delle buste paga. Il decreto salva Italia ha fissato come massimo il trattamento economico del primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo. Nella lettera che accompagna la bozza di Dpcm inviata il 30 gennaio dal premier Mario Monti al Parlamento si dice che il tetto è «pari nell'anno 2011 ad euro 304.951,95 euro». Ma poi in Parlamento è stato detto che il tetto è di 294mila euro. Qual è la vera cifra?
In fondo all'elenco di Patroni Griffi c'è questa postilla: «N.B. La differenza di alcune dichirazioni tra 304.000 euro e 294.000 è dovuta al fatto che il primo modello inviato per la richiesta dei dati faceva riferimento al trattamento economico massimo del 2011 pari a 304.000. Successivamente è stato comunicato dal ministerro della Giustizia il nuovo trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione». Ma la situazione non è chiara a tutti. Perché negli ultimi due giorni le Autorità Antitrust e delle Comunicazioni hanno comunicato, sul loro sito, l'adeguamento al ribasso egli stipendi dei vertici al nuovo tetto. E sia Giovanni Pitruzzella sia Corrado Calabrò hanno indicato per sé e i componenti del collegio il tetto di 304.951,95 euro. Forse dovranno dare un'ulteriore sforbiciata alle loro buste paga.

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