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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2012 alle ore 06:41.

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Nel 2009 l'Italia respinse per la prima volta in alto mare, verso la Libia, un barcone di migranti. A due anni di distanza è arrivata ieri la condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo per aver violato la Convenzione europea.
Il caso è noto come "Hirsi Jamaa e altri contro Italia". Era il 6 maggio 2009, quando a 35 miglia a sud di Lampedusa – come ha ricostruito il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) – in acque internazionali, le autorità italiane intercettano una nave con a bordo circa 200 persone. Erano somali ed eritrei, e tra loro vi erano bambini e donne in stato di gravidanza. I migranti - si legge nel ricorso - vengono trasbordati su imbarcazioni italiane e riaccompagnati a Tripoli contro la loro volontà, senza essere prima identificati, ascoltati né preventivamente informati sulla loro effettiva destinazione. Questa procedura ha fatto sì che i migranti non abbiano avuto alcuna possibilità di presentare richiesta di protezione internazionale in Italia.
Di queste 200 persone, 24 (11 somali e 13 eritrei) sono state rintracciate e assistite in Libia dal Cir e hanno incaricato gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci dell'Unione forense per la tutela dei diritti umani di presentare ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
La sentenza della Corte di Strasburgo colpisce, dunque, i respingimenti attuati dall'Italia verso la Libia, a seguito degli accordi bilaterali e del trattato di amicizia italo-libico siglato dal governo Berlusconi. Ora la palla passa al governo di Mario Monti. Il premier ieri ha spiegato che «questa sentenza sarà esaminata con la massima attenzione. Si riferisce a casi del passato», ma anche «alla luce dell'analisi di questa pronuncia prenderemo decisioni per quanto riguarda il futuro». «Osservo inoltre che – ha aggiunto Monti – in occasione della mia recente visita a Tripoli questi temi sono stati oggetto di particolare attenzione».
Si annuncia dunque una revisione della politica dei respingimenti in alto mare. A non gradire il verdetto della sentenza non a caso è l'ex ministro dell'Interno Roberto Maroni, la cui politica di respingimento è stata di fatto bocciata da questa pronuncia: «La corte - ha spiegato Maroni - condanna un comportamento a mio avviso assolutamente conforme alle direttive europee. I respingimenti sono stati fatti dalle autorità libiche e noi ci siamo limitati a prestare assistenza». Dunque, ha proseguito l'ex ministro, «si tratta di una pratica che io rifarei, anche perché ha contribuito a salvare molte vite umane, impedendo la partenza di barconi con migranti dalla Libia». Quello di Strasburgo, ha poi sottolineato Maroni, è una sentenza «politica che colpisce la linea di estremo rigore da noi adottata contro l'immigrazione clandestina e apre la strada all'immigrazione libera».
Per il ministro alla Cooperazione Andrea Riccardi, la sentenza «sarà ricevuta e valutata con grande attenzione» dal governo italiano «e ci farà pensare e ripensare alla nostra politica per l'immigrazione». Il ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri si affretta a traquillizzare: «Sono in corso serrati contatti con la nuova dirigenza libica al fine di riavviare la collaborazione operativa fra i due Paesi. Ogni iniziativa intrapresa sarà improntata all'assoluto rispetto dei diritti umani».
Di fatto la sentenza ha accolto le posizioni in materia di respingimenti dell'Unchr (l'agenzia Onu per i rifugiati), per cui l'Italia non può rinviare forzatamente le persone in paesi dove potrebbero essere a rischio di persecuzione o di subire un danno grave. L'Unhcr ha sottolineato che, data la situazione in Libia in quel momento, la politica italiana dei respingimenti minava l'accesso all'asilo e violava il fondamentale principio del non respingimento che si applica in qualsiasi luogo gli stati esercitino giurisdizione sulle persone, anche in alto mare.
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