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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2012 alle ore 06:40.

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Belgrado fa un passo decisivo verso l'ingresso nella Ue. I ministri degli Esteri dell'Unione hanno raggiunto l'accordo per concedere alla Serbia lo status di Paese candidato. «È fatta», ha detto il francese Alain Juppé. «O, per lo meno, non vi sono state obiezioni oggi - ha precisato il titolare del Quai d'Orsay - il che è un incoraggiamento per Belgrado a continuare il suo percorso». La decisione dovrebbe essere formalizzata oggi dal Consiglio affari generali, il verdetto finale spetta al Consiglio europeo che si apre giovedì a Bruxelles.
I 27 ministri hanno rilevato «che tutte le condizioni chieste alla Serbia sono state rispettate», anche se ovviamente per l'apertura dei negoziati veri e propri «c'è ancora molta strada da fare», ha aggiunto Juppé.
A dicembre la Serbia non aveva centrato l'obiettivo della candidatura per l'opposizione di molti Paesi (Germania in testa) preoccupati dalle tensioni con il Kosovo. L'ultimo round di colloqui con Pristina, cominciati ormai un anno fa con la mediazione della Ue e il pieno appoggio degli Stati Uniti, è stato determinante: venerdì scorso si è concordato sulla partecipazione del Kosovo ai forum regionali insieme alla Serbia e sull'applicazione operativa dell'intesa sulla gestione integrata delle frontiere, che era stata all'origine degli scontri. Non compare la dichiarazione di indipendenza del Kosovo (che Belgrado non riconosce, a differenza di 82 Paesi di cui 22 membri della Ue), ma la presenza dell'ex provincia serba ai forum regionali «è coerente con l'indipendenza, l'integrità territoriale e la sovranità del Kosovo», aveva puntualizzato il segretario di Stato americano Hillary Clinton.
Per la decisione di oggi, alcuni dubbi permangono in casa di Lituania e Romania. Vilnius rimprovera alla Serbia di aver proposto il suo ministro degli Esteri Vuk Jeremic alla presidenza generale dell'Onu, posizione cui la Lituania punta fortemente. Inoltre, non avrebbe del tutto superato la sfiducia storica verso un Paese considerato troppo vicino alla Russia. La Romania, invece, chiede più garanzie per il rispetto della minoranza romena in Serbia. Due questioni, in ogni caso, non insormontabili: tra i diplomatici dei 27 c'è ottimismo sul via libera all'ingresso di Belgrado nella famiglia europea. Un auspicio espresso a chiare lettere dal ministro degli Esteri della Ue Catherine Ashton, che ha reso «omaggio al lavoro del Governo» di Boris Tadic, sottolineandone il «coraggio e l'impegno che hanno permesso di arrivare sino a questo punto».
A sua volta il presidente di Belgrado ha affermato che la Serbia e il suo popolo «meritano lo status di Paese candidato», in quanto «il nostro obiettivo strategico è l'appartenenza alla Ue di cui condividiamo i valori». Il salto di qualità nel percorso di avvicinamento all'Unione (cominciato nel tardo 2005) è stato fatto da Belgrado con la cattura dei criminali di guerra Ratko Mladic e Goran Hadzix nel maggio e nel luglio del 2011, dopo la consegna all'Aja di Radovan Karadzic nel 2008. L'accordo con il Kosovo ha piegato le ultime resistenze. Certo, non è stata fissata una tempistica per l'adesione di Belgrado, e i negoziati potrebbero durare anni (basti vedere il caso turco) ma lo status di candidato segna un prima e un dopo.
Degli Stati della ex Jugoslavia nella Ue c'è per ora solo la Slovenia. La Croazia entrerà il primo luglio 2013. E la Macedonia ha lo status di candidato dal 2005.
eliana.dicaro@ilsole24ore.com
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