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Questo articolo è stato pubblicato il 29 febbraio 2012 alle ore 06:38.

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La protesta dell'avvocatura contro le misure del Governo non si ferma. Ieri, l'Organismo unitario – Oua – ha confermato lo sciopero dal 15 al 25 marzo, con manifestazione a Roma il 15 marzo. Bloccati le difese d'ufficio e il gratuito patrocinio. «Il Governo ha solo cambiato alcuni aspetti del decreto legge, lasciando inalterate le ragioni della nostra forte preoccupazione e delle nostre proteste: rimane – spiega Maurizio de Tilla, presidente dell'Oua – l'abolizione delle tariffe, le società con i soci di capitale, il depotenziamento del tirocinio. Salta solo l'obbligo del preventivo scritto e si consente un periodo transitorio affinché i giudici nei processi possano ricorrere alle tariffe in attesa della definizione dei parametri ministeriali. L'avvocatura ha espresso sempre il rifiuto di interventi legislativi che equiparano l'avvocato a una impresa». de Tilla conferma anche la partecipazione al Professional day, domani a Roma e in altre 150 cità d'italia.
Di parere opposto è l'Associazione nazionale forense: «Esprimiamo soddisfazione – dichiara il segretario Ester Perifano – per l'approvazione degli emendamenti al Dl liberalizzazioni sulle società professionali, sulle tariffe e sul tribunale delle imprese. Sono modifiche significative, che fanno coincidere l'interesse dei cittadini con l'autonomia e l'indipendenza dell'avvocato».
Al di là dei giochi politici, tra la marea di avvocati, 230mila iscritti all'Albo, 150mila iscritti alla Cassa, sembra crescere il disagio per un mercato sempre più difficile e affollato.
«Io sono arrabbiata con tutti - afferma Simona Tarantino, 34 anni, civilista a Palermo - con il Governo "governato" dai poteri economici, con i nostri rappresentanti che si sdegnano per l'avvocato di strada o l'emigrante salariato, ignorando che sono il prodotto di anni di assenteismo. Non abbiamo tutti i mega studi legali degli "americani a Roma". A Palermo ci sono 6mila avvocati, ma a esercitare sono poco più di 1.200; gli altri, conseguita l'abilitazione, fanno altro. Per finire ce l'ho con i miei colleghi, che si indignano ma quando si tratta di scendere in piazza hanno sempre cose più importanti da fare. Per risolvere qualcosa bisogna metterci la faccia, io l'ho fatto: c'è un filmato su facebook in cui io grido con il megafono. È necessario scendere tra le gente e far capire che i loro problemi sono i nostri. Ci sarà una ragione se i tassisti li ascoltano e a noi no, scontiamo anche le divisioni, ognuno ha i suoi interessi».
Di un modello di avvocato post crisi parla anche Giovanna Suriano di Palmi. «Gli avvocati non hanno più la scrivania di radica e lo studio in centro, come vorrebbe il modello tradizionale che ci viene imposto dai nostri vertici - si rammarica la civilista -. Condivido l'esasperazione dei colleghi, ne conosco molti che sono stati costretti a cambiare strada».
Passando dal Sud al Nord la situazione non cambia. «La struttura in cui lavoro è nata 35 anni fa quando nel paese c'erano tre avvocati - afferma Claudia Morosin che ha 33 anni e collabora in uno studio di Mirano di Venezia - ora ci sono 18 studi. I clienti ci chiedono al telefono "quanto la fa una separazione?", ascoltano il prezzo della consulenza poi proseguono il giro di chiamate fino a trovare l'offerta più conveniente. Personalmente ho rinunciato anche alla difesa d'ufficio: in sette anni ho visto arrivare due parcelle. Sarebbe necessario trovare una giusta via per comunicare la nostra rabbia. L'astensione certo non la nota nessuno, neppure il cliente, al massimo si secca il consulente tecnico. È diverso quando i metalmeccanici bloccano il ponte di Marghera».
Per Fabrizio Zozza di Monza occorre non pagare il contributo unificato. «Per parlare dei problemi dell'avvocatura bisogna mettersi comodi - esordisce il civilista quarantenne - io ho uno studio con una collega, è un lungo fidanzamento professionale, sto considerando l'idea dell'associazione ma è più impegnativa di un matrimonio. Non è vero che l'unione fa la forza, c'è anche il rischio di sommare le debolezze. Personalmente sono molto arrabbiato, quasi un fondamentalista. Va bene fare le manifestazioni di piazza ma anche il rifiuto di versare i soldi per il contributo unificato è una strada. Ai clienti che non ci pagano dobbiamo aggiungere quelli che rinunciano. Fanno due conti e aggiungono alle spese anche 700 o 800 euro che devono dare allo Stato, magari per una causa dall'esito incerto: alla fine lasciano perdere».
«Condivido con i colleghi di Bari un momento drammatico - spiega Francesco Perchinunno, 30 anni, di Bari – anche approfittando del vuoto normativo che si è creato, abbiamo clienti che decidono di risparmiare sui nostri compensi. Sarebbe opportuno che lo Stato, anziché fare liberalizzazioni che ci penalizzano, aprisse nuovi spazi per i legali come quello dell'autentica delle scritture contabili».
Per Vittorio Caputo di Santa Maria Capua Vetere il problema maggiore è nell'accesso. «La situazione in Campania è disastrosa - sostiene il penalista - conosco praticanti che pagano di tasca loro anche le marche da bollo. Ormai la disperazione è tale che non si punta alla qualificazione ma a circuire il cliente. Alla base di un numero che schiaccia la categoria c'è un esame basato su un criterio sbagliato. Ci sono pochi minuti per correggere elaborati lunghissimi e spesso la svolta è data dalla "manica larga" o meno del singolo commissario. Ho fatto per dei colleghi molti ricorsi al Tar, tutti respinti con una sentenza ciclostile su indicazione del ministero».

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