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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2012 alle ore 08:12.

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TEHERAN. Dal nostro inviato
C'è un Iran che pur restando ancorato alla Repubblica islamica non si arrende all'ondata di conservatori e fondamentalisti, al duello rusticano tra queste due fazioni per i 290 deputati del Parlamento dove secondo risultati parziali i candidati della Guida Suprema Ali Khamenei stanno travolgendo con oltre 82 seggi, sui 160 già assegnati, i seguaci del presidente Mahmoud Ahmadinejad. L'incognita per valutare la vittoria finale sono gli indipendenti, almeno 70 finora gli eletti in liste dagli schieramenti ambigui, a volte indecifrabili.
Una vera débâcle, se i dati verrano confermati domani: Ahmadinejad è stato infilzato dalla vendetta affilata di Khamenei anche con la netta sconfitta della sorella Parvin candidata nel feudo di famiglia, Garmsar, città natale del presidente.
Rieletta invece, contro ogni previsione, Soheila Jelodarzadeh, riformista con spiccate tendenze laburiste: «La nostra lista, la Casa del Lavoro - dice Soheila - è stata premiata negli strati popolari ma anche tra gli imprenditori: vogliamo creare nel nuovo Majlis un fronte della produzione per varare un piano di sviluppo svincolato dalla dipendenza dal petrolio, un'immensa risorsa che ci rende ricchi ma anche vulnerabili».
Soheila, 54 anni, avvolta in un chador nero senza concessioni, risponde alle domande con un filo di voce, emozionata, mentre scorre la lista degli eletti a Teheran dove al primo posto è insediato Haddad Adel, filosofo, ex presidente del Parlamento.
«Che Haddad Adel sia un sostenitore di Khamenei non c'è dubbio: sua figlia ha sposato Mojtaba, l'ambizioso rampollo della Guida Suprema», commenta Soheila, a conferma che i volti ai vertici della Repubblica islamica si rintracciano facilmente nella foto di gruppo della famiglia rivoluzionaria, una sorta di aristocrazia dove contano i legami di sangue e quelli degli affari nelle Bonyad, le Fondazioni dei mullah in carriera che amministrano miliardi di dollari in concorrenza con la "Pasdaran Economy", il business in mano ai Guardiani della Rivoluzione.
Quella dei Guardiani è l'ala militare e avanguardista che con le milizie dei Basiji attua la repressione ma dice anche una parola decisiva nella gestione corrente come la privatizzazione delle telecom e della compagnia aerea Iran Air: i Pasdaran impugnano il bastone e manovrano denari e prebende che servono a mantenere il consenso in tempi di inflazione, sanzioni internazionali e svalutazione, a rotta di collo, del rial.
La famiglia rivoluzionaria è assai litigiosa e questa volta ha deciso di farsi la guerra nell'ala destra dello schieramento. Una resa dei conti che prepara il terreno allo scontro finale, le presidenziali del prossimo anno. La Guida Suprema aveva sostenuto Ahmadinejad nel 2005 e poi nel 2009, di fronte alle proteste dell'Onda Verde, un'anticipazione della Primavera araba, per liberarsi della vecchia guardia rappresentata da Rafsanjani e dai leader riformisti come Moussavi e Karrubi: ma la nuova generazione dei cinquantenni uscita dalle file dei Pasdaran aveva cominciato a fargli ombra e contestarlo. Ora vuole accantonare Ahmadinejad e forse persino eliminare la carica di presidente dalla Costituzione.
Un piano che permetterebbe all'anziano ayatollah di restare solo al comando non semplice da realizzare: i seguaci di Ahmadinejad, pur sconfitti alle elezioni, occupano ancora posti di potere e sono influenti tra le schiere dei Pasdaran. Non sono facili da addomesticare, per questo il figlio di Khamenei, Mojtaba, ha incontrato il leader riformista Moussavi agli arresti domiciliari: la Guida vorrebbe recuperare gli sconfitti di ieri per annientare i nemici di oggi. Nella Repubblica islamica le cose non sono quasi mai come appaiono.
Quali le conseguenze di questa lotta di potere sulla crisi che ha al centro il programma nucleare e le minacce di un attacco israeliano? Una vittoria di Khamenei potrebbe riconsegnare il dossier atomico all'ex negoziatore, l'attuale capo del Parlamento Ali Larijani, ieri primo eletto nella città santa di Qom. Ma se questo allontanerà le tensioni nel Golfo è difficile prevederlo. Davoud Bovand, decano dei professori di relazioni internazionali di Teheran pronuncia una sentenza secca: «La linea rossa del regime è la sua sopravvivenza al potere, non gli interessi vitali dell'Iran».
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